Perché non ci sto ad essere bollato come un antisemita

  • Postato il 17 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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In un’intervista a un quotidiano nazionale dello scorso luglio, il presidente della Comunità Ebraica di Milano, Walker Meghnagi, mi ha definito antisemita dopo un intervento sul mio blog de Il Fatto Quotidiano e un video sul mio canale YouTube. Qual è stata la mia “colpa” per ricevere una tale offensiva definizione? Aver semplicemente detto che a mio parere il silenzio della Comunità ebraica italiana su Gaza è complicità.

Questo basta, secondo lui, per essere bollati come antisemiti. Si tratta di una truffa semantica finalizzata a definire antisemiti chiunque osi criticare l’orrore che sta compiendo Israele. L’obiettivo è spegnere il dissenso e le critiche contro uno Stato che – a detto dei più grandi giuristi internazionali – sta commettendo un genocidio. Io a questo ricatto non ci sto ed ho querelato tale individuo. L’ho fatto anche perché troppi vengono accusati e diffamati con tale ignobile etichetta semplicemente perché sostengono la causa palestinese.

Inoltre, ad esclusione di alcune lodevoli eccezioni, non mi risulta che la comunità ebraica italiana abbia preso una posizione netta ed evidente sull’orrore in corso. In tutto il mondo comunità ebraiche si sono dissociate pubblicamente da ciò che sta compiendo il governo Netanyahu; in Italia prevale il silenzio.

L’antisemitismo è l’odio verso un popolo in quanto tale. È razzismo, è discriminazione, è negazione dell’umanità dell’altro. Io questo, ovviamente, lo ripudio da sempre. L’ho combattuto, come ho combattuto ogni forma di razzismo, fascismo e sionismo. Sostenere che in Palestina è in corso un massacro, e che chi resta in silenzio ne condivide moralmente la responsabilità, non è antisemitismo. È semplicemente una verità, ed è anche un dovere morale.

Confondere volutamente antisionismo con antisemitismo è un atto ignobile e soprattutto una mancanza di rispetto nei confronti delle vittime dell’Olocausto. Chi critica il sionismo, cioè l’ideologia alla base della colonizzazione ebraica in Palestina, viene subito accusato di odiare gli ebrei. Questo è falso. Il sottoscritto, e tanti altri, sta denunciando un progetto politico e militare che ha sterminato più di 60.000 civili a Gaza.

L’esercito israeliano ha bombardato scuole, ospedali, ambulanze, campi profughi, una brutalità senza precedenti che sta volutamente affamando un intero popolo privandolo di cure mediche. Sono state centinaia le amputazioni senza anestesia, per non parlare dei neonati morti nelle incubatrici perché era stata tolta la corrente elettrica. Ricordare queste mostruosità significa essere antisemita? No, è denunciare un brutale genocidio come affermano anche le Nazioni Unite, Amnesty International e i rapporti della Corte Internazionale di Giustizia.

Inoltre, occorre far chiarezza sulla parola “semita”. Dal punto di vista linguistico e storico-culturale, sia l’ebraico che l’arabo appartengono al gruppo delle lingue semitiche. Questo significa che tanto gli ebrei quanto i palestinesi possono essere considerati “semiti”. Per questo, accusare di “antisemitismo” chi denuncia i crimini di Israele o difende i palestinesi è una distorsione grave, una violenza politica e una follia linguistica. In base a questo assunto i veri antisemiti sono Netanyahu e i suoi ministri suprematisti che stanno massacrando un intero popolo che è anch’esso semita.

Questa è la verità che si vuole nascondere e chi, come me, lo evidenzia, viene etichettato, criminalizzato, diffamato e in passato anche minacciato di morte. Per questo ho deciso di querelare e lo dovrebbero fare tutti coloro che vengono accusati ingiustamente solo perché criticano l’orrore in corso. È un dovere anche perché nel nostro Paese con il governo collaborazionista di Giorgia Meloni, si sta spegnendo il dissenso. Inoltre, lo dobbiamo prima di tutto a chi oggi, a Gaza, sopravvive tra le macerie, senza acqua, senza luce, senza speranza.

Una parte del popolo ebraico deve liberarsi di un vittimismo atavico e, soprattutto, della pretesa di avere il monopolio del dolore e di termini quali “genocidio”. La memoria doveva servire proprio affinché certe mostruosità non avvenissero più, nei confronti di tutti i popoli, razze ed etnie. Su questo invito anche Liliana Segre a un supplemento di riflessione e a definire quello di Gaza con il termine che gli spetta, cioè genocidio.

Io continuerò a parlare, e con me tanti italiani onesti che si sono stancati di essere etichettati come filoputiniani se chiedono il dialogo in Ucraina e come antisemiti se denunciano il genocidio a Gaza. Questo è il tempo di alzare la voce e non restare in silenzio, perché il silenzio è, appunto, complicità.

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Il Fatto Quotidiano

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