Pensioni, spariscono Quota 103 e Opzione Donna. Meloni non tocca la riforma Fornero e riduce la flessibilità in uscita

La forsennata pressione messa in atto a fine estate dalla Lega sul tema delle pensioni ha prodotto un risultato che non era pronosticato nemmeno dal peggiore dei pessimisti. L’innalzamento dell’età pensionabile previsto per il 2027, dice la bozza della manovra, non sarà evitato: sarà di un mese anziché tre, ma ci sarà. Solo chi svolge lavori gravosi e usuranti potrà “salvarsi”. Ma la vera beffa è che sono sparite, almeno per ora, le ultime due forme rimaste di uscita anticipata: Quota 103 e Opzione Donna. Resta solo l’Ape sociale. Così come sono state bocciate tutte le proposte messe sul tavolo dal sottosegretario leghista al Lavoro Claudio Durigon, a partire dalla possibilità di usare il trattamento di fine rapporto (tfr) per l’anticipo pensionistico o l’obbligo, per i giovani, di devolverlo ai fondi pensione privati (misure tra l’altro molto contestate dai sindacati).

Il cantiere delle pensioni, come viene chiamato nel gergo, è quindi servito più a demolire l’esistente che a costruire qualcosa di nuovo. Sul tema pesa il nodo delle risorse e la reattività di Bruxelles quando si parla di misure generose per il capitolo previdenziale, considerando anche la tendenza del governo Meloni a comportarsi da bravo scolaretto. Ecco quindi che il promesso disinnesco dell’aumento dell’età pensionabile, legato alla crescita della speranza di vita, ha prodotto un intervento molto soft. A partire dal primo gennaio 2027, aumenterà di un mese anziché tre. Gli ulteriori due mesi di aumento arriveranno comunque a gennaio 2028. Le categorie esenti da questo gradino saranno solo quelle che svolgono mestieri faticosi, che alla luce delle attuali norme sono una piccolissima parte dei lavoratori italiani.

Ciò che però era davvero inaspettato era l’uscita di scena di Opzione Donna e Quota 103. La prima – lo suggerisce anche il nome – è riservata alle lavoratrici con almeno 61 anni di età e 35 di contributi (l’età diminuisce solo a determinate condizioni, il numero di figli o il fatto di essere state licenziate). Quota 103, invece, è l’erede azzoppato della Quota 100 approvata con il primo governo Conte. Prevede l’uscita a 62 anni di età e 41 di contributi. Entrambe queste tipologie di pensionamento sono comunque penalizzanti, perché comportano il ricalcolo interamente contributivo dell’assegno. Insomma, danno diritto una pensione ben inferiore nell’importo rispetto a quella retributiva, che si otterrebbe aspettando l’età “ordinaria”. Il ricorso a questi due strumenti si è infatti ridotto a poche migliaia di domande, praticamente solo ai casi di necessità.

Quanto agli aumenti sulle fasce più deboli, la manovra si occupa degli assegni sociali, cioè i trattamenti assistenziali che non dipendono dai contributi versati, quindi non sono pensioni in senso stretto. Questi vengono aumentati di 20 euro, che moltiplicato per tredici mensilità sono 260 euro. Bisogna però ricordare che l’aumento di 8 euro era già previsto. Le pensioni minime invece cresceranno di 4 euro al mese per l’effetto dell’inflazione e di quanto previsto dalla legge di Bilancio dello scorso anno.

Nulla è entrato, infine, di quell’ampio elenco di idee suggerite da Claudio Durigon già dalla fine di agosto. Il sottosegretario voleva misure che permettessero di utilizzare il tfr per raggiungere l’assegno minimo per la pensione anticipata contributiva a 64 anni. Una proposta molto contestata dai sindacati, i quali ricordavano che il tfr è una forma di salario differito, quindi sono già soldi di proprietà dei lavoratori. Insomma, non c’era alcuna concessione. Per la stessa ragione, i sindacati hanno rigettato l’ipotesi – prospettata sempre da Durigon – di imporre ai giovani di devolvere il loro tfr in favore dei fondi pensione, per aumentare i contributi versati.

Rimettendo tutto in ordine: il governo Meloni si era insediato con la promessa quantomeno di rivedere la legge Fornero. La Lega si spingeva oltre portando come cavallo di battaglia quota 41 senza limiti di età. Una volta arrivati a Palazzo Chigi, è successo il contrario. Negli anni sono state ridotte le forme di flessibilità in uscita, inaspriti i requisiti minimi per la pensione contributiva, quindi persino aggravata la legge Fornero. Oltre a questo, sono state ridotte le pensioni di alcune categorie del pubblico impiego, come le insegnanti d’asilo, i sanitari e i dipendenti degli enti locali. Ancora, sono stati resi più stringenti e penalizzanti i requisiti di Quota 103 e Opzione Donna, che ora addirittura sono spariti a meno che non tornino durante l’iter parlamentare della legge di bilancio.

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Il Fatto Quotidiano

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