Nel micro-museo di Belluno due installazioni mescolano Leonor Fini con cani e tartarughe 

  • Postato il 7 agosto 2025
  • Arti Visive
  • Di Artribune
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La settima stagione espositiva del Museo Burel, creato e diretto da Daniela Zangrando, segue quest’anno un filo conduttore riassunto nel tema di base Masquerade, inaugurato a marzo con un evento aperto alla partecipazione attiva del pubblico, eterogeneo per età e formazione, che dal 2019 segue gli eventi organizzati qui a Belluno tra arte e musica. Questa volta, dopo i mostri sacri che negli anni hanno illuminato il calendario del museo, portando in città, a fianco di molti giovani emergenti, nomi come Jan Fabre o Christian Boltanski, Roman Signer o Hans Haacke, arriva nello spazio del Burel Beatrice Marchi, nata a Gallarate nel 1986 e che da anni vive e opera a Berlino dopo aver studiato con Alberto Garutti all’Accademia di Brera a Milano e con Jutta Koether alla Hochschule für bildende Künste di Amburgo. 

Beatrice Marchi Photo Rebecca Carbon
Beatrice Marchi Photo Rebecca Carbon

La mostra di Beatrice Marchi al Museo Burel a Belluno 

Beatrice Marchi espone a Belluno due installazioni video, una delle quali inedita e che viene proiettata per la prima volta proprio al Museo di via Mezzaterra 49. Negli spazi del Burel si può quindi rivedere When Katie Fox met the Evil Turtle, del 2022 che racconta, sullo sfondo di un’ambientazione di angosciante periferia universale, di una tartaruga dal carapace spezzato che insegue una protagonista che vive “con un senso di colpa quasi eccitante” – come spiega Daniela Zangrando –  “pronta a trarre nutrimento dal nostro sconcerto e a garantirci un atterraggio di pensiero tutt’altro che morbido”.  Un video complesso da inquadrare, con il continuo sviluppo di uno straniante gioco di scatole cinesi tra voce narrante e la figura del fotografo che funge da medium, tra chi osserva e chi viene ripreso dalla telecamera.  

L’installazione video di Beatrice Marchi a Belluno 

…E poi c’è la presenza dolente e inquietante di Katie Fox.  Una figura che all’inizio prende vita da un quadro della stessa Marchi, che ricorda una contaminazione tra Leonor Fini, Leonora Carrington e le maschere dal lungo naso affilato dei Sepik della Nuova Guinea. E poi, ancora, c’è la tartaruga ferita, con quel suo nome che evoca il Tartaro, cioè gli inferi degli antichi, condanna immanente e inevitabile. Il risultato è una spiazzante inversione di ruoli tra umano e animale, tra il piccolo che diviene cacciatore e il grande che viene cacciato, con il ribaltamento provocatorio di una natura malvagia che ci insegue, tra minaccia incombente e dolente profezia, fino al rinchiudersi di Katie Fox in un giaciglio che diventa un sarcofago. 

La seconda inedita installazione di Beatrice Marchi a Belluno 

Atmosfere luminose e scogliere marine caratterizzano invece il secondo video, l’inedito When will we meet again del 2024, in cui l’autrice è intervenuta pittoricamente sulle immagini del video, creando effetti di grane efficacia e suggestione.  Il film osserva un gruppo di cani che non hanno mai conosciuto altro contatto che quello con il padrone, indiscusso e indiscutibile.  Apparentemente liberi, ma con la sensazione, in chi osserva, di rileggere l’Emilio di Rousseau o di rivedere un Truman Show ancora più angosciante. “I cani non sono solo cani” – scrive ancora Daniela Zangrando nel flyer della mostra bellunese – “ma persone che hanno vissuto in condizioni di oppressione. Le loro parole sono testimonianze di dittatura, di violenza domestica, di occupazione, di conflitto”. 
 
Marco Perale 
 
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Autore
Artribune

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