Davanti alla carneficina di Gaza, agli artisti chiediamo ancora uno sforzo
- Postato il 6 agosto 2025
- Arti Visive
- Di Artribune
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Gli attivisti della Flotilla recentemente sequestrati in acque internazionali dagli israeliani mentre portavano simbolicamente aiuti ai palestinesi affamati e morenti – Greta Thunberg e altri – hanno sfidato lo spirito del terrorismo. Azioni rischiose come queste meritano attenzione, sfidare l’impunità accordata ai volenterosi carnefici di Gaza, è più che una performance.
Solidarietà e schieramento degli operatori della cultura per Gaza
L’immensa circolazione di immagini dello sterminio è passata di mano in mano, quasi un giornale collettivo. Questi attivisti e le organizzazioni umanitarie hanno fatto da autentica avanguardia (una delle tante eredità delle avanguardie era la non separazione di arte e vita). La mole di solidarietà mostrata nelle scuole, nelle università di tutto il mondo, è stata repressa con avvertimenti intimidatori, arresti e manganellate di fatto. Musicisti come i 99Posse e Roger Waters (per citarne solo qualcuno), singoli artisti, scrittori (lontani da quelli che hanno invocato una astratta Europa fatta di oligarchi, banchieri e lobbisti), hanno preso posizione. La solidarietà ovunque braccata risorge dappertutto. Non più come gesto morale, ma trasversalmente assume il volto di insperate compagini politiche, di comunità provvisorie, di forme di ribellione alla crudeltà dello sterminio in atto – tutte situazioni che si levano dal basso.

Le immagini della carneficina a Gaza
Certo, l’immensa mole di immagini sovrasta in potenza qualsiasi tentativo di “interpretare” lo sterminio dei palestinesi. Esse di per sé costituiscono già un evento per procura, sono un giacimento visivo della catastrofe. Anche la domanda di pace, braccata come una preda, insultata in ogni talk show, riemerge incontrollata su tutte piattaforme digitali. Assistiamo al collasso della storia: che le virtù sulle quali si fonda la cultura dell’Occidente siano oggi oggetto di persecuzione è da manuale psichiatrico. La legge del conformismo, come un universo concentrazionario, ha fatto il suo sporco lavoro di dissuasione: e l’arte in questo scenario deve solo apparire come cosa bella e spensierata, al resto pensano gli altri. Alla Biennale del 2022, appena pochi mesi dopo dall’invasione dell’Ucraina, fu tempestivamente allestita una installazione fatta di sacchi per evocare la resistenza. Evidentemente la solidarietà dipendeva dal nemico – la Russia, infatti, fu espulsa dalla manifestazione. Nel caso degli israeliani pensare una cosa del genere è tabù.
Qual è il ruolo dell’arte in tutto questo?
E gli artisti, dove sono? Adesso che i riflettori sono platealmente puntati sul genocidio in atto dei gazawi, forse arriveranno, ma con quasi due anni di ritardo, e magari si punteranno sul petto mostrine di solidarietà. Nel 1935 Bertolt Brecht, in un saggio dal titolo Cinque difficoltà per chi scrive la verità, osservava in merito a questa categoria di artisti: “Imperturbabili di fronte ai potenti, ma nemmeno intrigati dalle grida delle vittime, vanno pennelleggiando i loro quadri”. Sardonicamente stigmatizzava l’individualismo di coloro che vivono solo per se stessi, senza disturbare il potere. Sono gli artisti che appunto “pennelleggiano” anche le disgrazie degli altri assecondando il voyeurismo del dolore come osservò Susan Sontag. Ma se l’arte ha a che fare con la “verità” – osservava Brecht – allora essa non può essere compassionevole o estetica, ma combattiva. E se il mondo è quello in cui potrebbe scoppiare, e ci siamo quasi, una guerra mondiale a suon di atomiche, allora in questo scenario è evidente che l’arte non può entrare in campo direttamente con le solite mostre a soggetto – migranti, Palestina, guerre, ecc.
Uno sforzo in più
Susan Sontag si lamentava del fatto che spesso l’arte trasforma un fatto crudele in fatto estetico, spostando l’attenzione dalla “gravità del soggetto al medium”. Ci vuole ancora uno sforzo. Uscire dagli studi, dalle gallerie, dai musei? Oppure: contaminare studi, gallerie e i musei con segni di protesta, segni di solidarietà, segni di rivendicazione della libertà d’espressione, oggi così fragile e sottomessa al vaglio della censura? In questo contesto estremo Greta Thunberg segna la via a quegli artisti per i quali sarebbe sufficiente cambiare concettualmente il soggetto per testimoniare del presente. Ma non sono da meno le performance umanitarie di un militante come Luca Casarini, le quali con le sue incursioni di salvataggio di disperati nel Mediterraneo prospettano una speranza di vita per coloro che hanno subito la violenza dell’Occidente. Nella striscia di Gaza non sono assassinati soltanto i palestinesi, ma con essi – come si espresse Adorno in merito al genocidio degli ebrei – ancora una volta muore l’esemplare dell’umanità, se però siamo disposti a immedesimarci nei palestinesi. Se non è così, allora l’arte e la cultura che rappresenta l’Occidente, per parafrasare Adorno, è solo spazzatura.
Marcello Faletra
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L’articolo "Davanti alla carneficina di Gaza, agli artisti chiediamo ancora uno sforzo" è apparso per la prima volta su Artribune®.