Il presidente di Confindustria Orsini critica la Manovra, ma pure le proposte degli imprenditori sono modeste
- Postato il 16 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Sarà la sferzata trumpiana dei dazi, sarà che la produzione manifatturiera è in profondo rosso da molti mesi e non si vede la fine, fatto sta che anche Confindustria si è svegliata da un lungo e pigro letargo filogovernativo. Il suo Presidente, l’industriale del legno e della logistica Emanuele Orsini, ha dato un dispiacere alla premier esprimendo un giudizio molto sferzante e negativo sulla nuova legge di bilancio per il 2026. Al convegno dei giovani industriali a Capri ha detto senza mezzi termini, riferendosi alle scelte governative, che “la ricchezza del Paese non la fai con l’Irpef o le pensioni”. Una bordata nei confronti del populismo fiscale del governo Meloni non da poco.
La considerazione del Presidente di Confindustria è difficilmente contestabile e centra il bersaglio di una finanziaria molto modesta sul piano industriale, ma non solo per il 2026. In effetti, a ben vedere la politica industriale è stata la cenerentola delle ultime finanziarie. Forse il governo ha lasciato questo compito ai fondi del Pnrr. Di certo non sono mancate solo le risorse, ma anche quella visione di insieme che Orsini vorrebbe dalla politica. Detto questo, cioè che la politica ha abbandonato l’industria al suo destino/declino, quali sono state le proposte di Confindustria nel recente passato e quali sono quelle future? Qui l’analisi si fa interessante.
Gli industriali, per quello che si è potuto vedere, non hanno fatto grandi proposte. Sostanzialmente due. La prima è stata la richiesta di consistenti sussidi per contenere le spese energetiche, corrisposti dal governo abbastanza generosamente. A parere di Confindustria sembra che tutte le imprese italiane siano degli altiforni, dove il costo dell’energia sale anche al 50% dei costi totali. Ovviamente non è così, ma questo punto è sempre stato in cima alle preoccupazioni di Confindustria. Nulla di particolarmente innovativo. La seconda è stata la richiesta di ritirarsi dalle politiche ambientali. Confindustria considera il contrasto al cambiamento climatico come un freno allo sviluppo economico, salvo poi lamentarsi quando si verificano i disastri ambientali. Ad esempio, persino la modesta tassa sulla platica introdotta già nel 2021 è stata ancora posticipata, nonostante il suo valore di 700 milioni sia del tutto modesto. Mettere lavoro contro ambiente è una retorica novecentesca che ormai risulta del tutto stonata, e comunque i danni ambientali per centinaia di miliardi ci sono.
Per non parlare poi della propostina, abbastanza ridicola, che lo stato contribuisca a pagare l’affitto di coloro che si spostano al Nord per lavorare nelle manifatture lombarde o venete. Questo è tutto quello che si può ricostruire, seppure sommariamente, delle proposte di politica economica di Confindustria, dove veramente si vede molto poca di quella meritocrazia e di quello spirito innovativo richiamati da Orsini. Noto invece che Confindustria si è scagliata contro la proposta di tassare gli extraprofitti bellici generati soprattutto nel settore energetico e dei servizi. Soldi che potevano essere usati per lenire le ferite della manifattura.
Se molto poco è stato proposto finora, la nuova ricetta è ancora più problematica. Nella sua intervista Orsini invita il governo alla creazione delle Zes come soluzione innovativa per la crisi della manifattura italiana. L’acronimo Zes significa zona economica speciale. Perché speciale? Perché in queste aree la fiscalità sarebbe notevolmente ridotta e forse azzerata. Nella dura competizione internazionale una Zes, nostrano paradiso fiscale, dovrebbe attirare qualche investimento da parte delle multinazionali, magari cinesi. Ma veramente basterebbe diminuire le tasse sulle imprese per aumentare gli investimenti e l’occupazione? Era quello che pensava anche il primo Trump che ha ridotto le tasse sui dividendi azionari dal 39% al 21%. Peccato che il boom produttivo non si sia prodotto e il deficit commerciale Usa sia aumentato ancora di più. Quello che si è visto invece è che le imprese Usa hanno usato lo sconto fiscale per ricomprarsi le azioni. I soldi tolti ai contribuenti sono stati regalati agli azionisti.
L’idea che riducendo le tasse automaticamente si aumentino gli investimenti oggi è abbastanza ingenua. Le imprese hanno una loro programmazione degli investimenti e l’aspetto fiscale è importante, ma forse non è quello decisivo. Più interessante, per le imprese, è invece oggi il fatto che il costo del lavoro in Italia sia molto più basso che negli altri paesi europei. Le Zes non risolvono il problema dei bassi salari e del nanismo industriale italiano. Diciamo che, da un punto di vista salariale, è l’economia italiana una gigantesca Zes.
Dal presidente di Confindustria mi sarei aspettato delle proposte differenti e più coraggiose. Per esempio, si poteva chiedere ai politici di mettere da parte delle risorse per ristorare le imprese colpite dal virus dei dazi di Trump. Oppure, ancora meglio, si poteva iniziare un dibattito serio sulla traiettoria produttiva italiana. Invece è arrivata la solita richiesta di battere cassa per portare a casa qualche sussidio da investire in borsa. Oltre al populismo fiscale dei politici abbiamo anche quello degli imprenditori. Quest’ultimo egualmente pericoloso.
C’è poi un altro aspetto non secondario. Prima di chiedere, Confindustria dovrebbe dare. Ci sono milioni di lavoratori nei comparti manifatturieri che aspettano il rinnovo dei contratti ampiamente scaduti. Mentre i salari sono fermi, i prezzi corrono. Questa sembra essere l’unica ricetta di politica economica degli industriali italiani. La politica vera, su questo punto, dovrebbe battere un colpo e difendere i redditi da lavoro chiedendo agli industriali di onorare i propri impegni.
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