Davvero il problema del carcere è una donna che fa l’amore con il proprio compagno?

  • Postato il 27 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Una donna detenuta nel carcere di Vercelli rimane incinta senza aver mai beneficiato di permessi premio o misure esterne. Usufruiva di colloqui con il compagno, padre di sua figlia e anche lui detenuto nella sezione maschile del medesimo istituto. Nel mondo sessuofobo del carcere, l’evento ha fatto notizia. Un sindacato autonomo di polizia penitenziaria ha commentato affermando che il carcere “oramai è Disneyland”. Non so quale aspetto del noto parco giochi intendesse richiamare con il paragone, se il divertimento, il senso di libertà, la varietà delle attrazioni.

Ricapitoliamo insieme cosa è il carcere oggi in Italia, per capire se vi sia una pertinenza o se la frase è semplicemente sciocca e offensiva per chi in prigione vive e lavora.

Nel gennaio 2024 la Consulta dichiara che la possibilità di avere una vita sessuale costituisce un diritto per tutti, anche per la persona detenuta, e che la sua privazione automatica – come imposto dalla legge italiana che prevede il controllo a vista dei colloqui in carcere – è in contrasto con vari principi della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Sono passati quasi due anni da tale sentenza e le carceri che oggi prevedono spazi per i colloqui intimi sono quattro o cinque su 189 istituti per adulti (non si capisce perché rispetto alle carceri minorili il tema non sia mai stato messo all’ordine del giorno). Pure sotto questo aspetto, come sotto moltissimi altri, il sistema penitenziario è incostituzionale. Quella donna e il suo compagno avrebbero avuto il diritto di mantenere un legame anche sessuale in condizioni ben meno improvvisate di come probabilmente è accaduto.

Ma continuiamo a ricapitolare. Dopo la condanna dell’Italia nel 2013 da parte della Corte di Strasburgo per il trattamento inumano e degradante che veniva inflitto alle persone detenute nelle nostre galere, abbiamo assistito a una stagione riformatrice che aveva portato a una parziale decarcerizzazione e aveva migliorato la vita quotidiana interna. L’amministrazione penitenziaria aveva adottato il principio secondo il quale la cella dovesse servire esclusivamente come camera di pernottamento, prevedendo una vita diurna fuori dalla stanza e impegnata in attività di vario tipo. I sindacati autonomi di polizia si sono lamentati di questa troppa vivacità, sostenendo che aumentasse le violenze da parte dei detenuti e le aggressioni al personale. Eppure i numeri parlano chiaro: tutti gli eventi critici sono cresciuti da quando le celle sono tornate a essere luoghi di segregazione continua dove i detenuti vivono ammassati dalla mattina alla sera, con una conseguente inevitabile crescita della tensione.

Nel frattempo il carcere continua a chiudersi sempre di più. Una circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di pochi giorni fa riduce ulteriormente e grandemente la possibilità per la società esterna di organizzare attività culturali, ricreative, sportive in carcere. Poche settimane prima un’altra circolare aveva, tra le altre cose, disposto che in caso di malessere di una persona detenuta il 118 venga chiamato “solo nei casi di effettivo pericolo di vita”. Un’amministrazione del Ministero della Giustizia, che nulla c’entra con l’area sanitaria, dà con questa nettezza un’indicazione volta a influenzare la libera decisione dei medici. Inutile dire che non sempre è chiaro in anticipo se c’è o meno un pericolo di vita. Trattandosi tuttavia della vita di un detenuto, possiamo permetterci di rischiare. Che il medico non ci faccia perdere tempo e risorse con inutili ricoveri esterni.

Questo è il Disneyland che si vive attualmente in carcere. Corpi ammassati in celle sovraffollate chiuse l’intera giornata, vite buttate, mancanza di assistenza sanitaria e di ogni prospettiva di vita. Ma davvero il problema è una donna che fa l’amore con il proprio compagno? Tanti auguri e un abbraccio ai futuri genitori.

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Il Fatto Quotidiano

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