Bankitalia punta alla semplificazione normativa? Non possiamo permetterci il rischio deregulation
- Postato il 20 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Dopo il 2008, il mondo intero ha capito a caro prezzo che le banche lasciate senza controlli stringenti possono trasformarsi in una miccia pronta a incendiare l’economia globale. Da allora, l’Europa ha costruito un sistema di regole pensato per evitare nuovi crack finanziari. Oggi però, di fronte al peso di una burocrazia sempre più complessa, a Bruxelles, alla Bce e anche in Italia, con la Banca d’Italia, si torna a parlare di “semplificazione normativa”.
L’idea, sulla carta, è rendere le regole più snelle per liberare risorse e ridurre costi. Ma la domanda da porsi è un’altra: dove finisce la semplificazione e dove inizia la deregulation?
La Banca d’Italia propone un alleggerimento mirato: eliminare duplicazioni, tagliare obblighi ridondanti, distinguere tra piccoli istituti locali e colossi internazionali. Tutto giusto, se restiamo nel campo del buon senso. Il pericolo nasce quando la richiesta di “meno regole” diventa uno slogan che apre la porta a minori controlli proprio sui nodi più delicati.
I danni provocati negli ultimi 15 anni dall’assenza di norme e di controlli sono stati raccontati su queste colonne e sono sotto gli occhi di tutti: banche fallite e migliaia di famiglie che hanno visto dissolvere i loro risparmi, aziende che da un giorno all’altro, sebbene già decotte da tempo, sono state abbandonate dal credito bancario. Deregolamentare significherebbe correre il rischio di ripetere gli errori che hanno portato alla crisi dei mutui subprime: prodotti finanziari complessi, poca trasparenza, eccesso di leva.
E in Italia abbiamo un esempio che grida vendetta: Monte dei Paschi di Siena. Dopo anni di dissesti, scandali e buchi miliardari, è stata salvata con i soldi dei contribuenti italiani. Oggi però Mps, ancora percepita come fragile, si presenta sul mercato come possibile acquirente di un colosso come Mediobanca. Un paradosso che rivela il cortocircuito di un sistema: prima i cittadini pagano i danni della cattiva gestione bancaria, poi assistono increduli a banche “resuscitate” che tornano protagoniste in operazioni di potere. Se le regole vengono allentate, chi ci garantisce che non si torni a scaricare i rischi delle scelte sbagliate sulle spalle dei risparmiatori?
Certo, un sistema troppo complicato penalizza soprattutto le banche piccole e territoriali, sommerse da adempimenti pensati per i giganti globali. Ma la soluzione non può essere abbassare l’asticella per tutti. La vera sfida è calibrare i controlli: più severi per chi muove miliardi e crea rischi sistemici, più leggeri per chi opera su scala locale.
Un altro rischio riguarda la fiducia. I mercati e gli investitori internazionali osservano attentamente la solidità del sistema europeo. Un segnale di eccessivo allentamento delle regole potrebbe tradursi in sfiducia, con effetti immediati sul costo del debito e sulla stabilità finanziaria.
Infine, c’è un aspetto politico. Negli Stati Uniti, durante il suo primo mandato, l’amministrazione Trump aveva avviato una riduzione drastica delle regole, salutata cum gaudio dalle lobby bancarie ma criticata da chi temeva nuove bolle speculative. L’Europa non può permettersi di seguire la stessa strada. Con economie fragili, un debito pubblico elevato e la necessità di sostenere la transizione digitale ed ecologica, abbiamo bisogno di un sistema bancario resiliente, non di un gigante dai piedi d’argilla.
Semplificare sì, ma senza dimenticare la lezione del 2008: quando le banche sbagliano, a pagare non sono solo gli azionisti, ma l’intera società. E i cittadini, che hanno già visto i loro risparmi svanire in fallimenti bancari recenti, meritano protezioni più solide, non più fragili.
Il futuro non è “meno regole”, ma “regole migliori”: chiare, proporzionate, e soprattutto capaci di garantire che chi maneggia il denaro di tutti lo faccia con responsabilità.
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