Verde pubblico, la “foresta urbana” è il nuovo spartiacque sociale tra Nord e Sud

  • Postato il 16 settembre 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Piani del verde assenti o non aggiornati. Procedure di gestione non definite: nel nostro paese il verde urbano non è ancora integrato nei processi di pianificazione territoriale, mentre cresce dall’altro lato la domanda di partecipazione delle associazioni e dei comitati territoriali, che chiedono trasparenza e canali di interlocuzioni stabili. A dieci anni dalla legge 10 del 2013, prima legge nazionale italiana dedicata al verde urbano, questa è, secondo la Relazione Annuale 2025 del Comitato per lo Sviluppo del Verde Pubblico, appena uscita, la situazione di buona parte dei capoluoghi italiani rispetto al verde. “Manca ancora la concezione fondamentale per cui il verde urbano deve precedere l’urbanistica, non inseguirla”, spiega Marco Visconti, Presidente del Comitato.

Quelle cifre che allontanano nord e sud. Ma c’è un secondo elemento problematico che emerge dal Rapporto. Ovvero il fatto che il verde urbano è diventato un ulteriore elemento di divario tra nord e sud. Nel 2023 sono 97 le amministrazioni nei capoluoghi di provincia/città metropolitana (89,0% a fronte del 49,5% nel 2014) che hanno istituito il conteggio e la classificazione delle alberature, con le migliori performance nelle città del Nord-ovest, dove quasi tutti i capoluoghi effettuano il conteggio e la classificazione degli alberi (dal 60,0% del 2014 al 95,5%), e del Centro (dal 45,5% al 95,5%); già in posizioni consolidate in tal senso le amministrazioni dei capoluoghi del Nord-est (dal 72,7% a 90,9%), mentre le performance sono in crescita, ma ancora con almeno 2 capoluoghi su 10 non attivi nel Sud (dal 34,6% a 80,8%) e nelle Isole (dal 28,6% al 78,6%).

Ancora: tra il 2014 e il 2023 hanno redatto il patrimonio arboreo quasi il 57,8% dei capoluoghi (63, erano 22 nel 2014), per una copertura dell’80,0% dei residenti dei capoluoghi. Lo strumento è adottato più diffusamente tra i capoluoghi del Nord (dal 34% del 2014 al 76,6% del 2023), con gli incrementi maggiori nel Nord-est (dal 18,2% all’ 81,8%) rispetto al Nord-ovest (dal 48,0% al 72,0%), consistenti al Centro dove però le amministrazioni adempienti sono ancora pari ai 2/3 del totale (dal 13,6% al 66,6%) e livelli e progressioni più bassi nel Mezzogiorno dove il bilancio arboreo è redatto in poco più di un terzo dei capoluoghi del Sud (da 11,5% a 34,6%) e in uno su cinque nelle Isole (da 0 a 21,4%)

Infine, nel 2023, secondo le risultanze dei censimenti effettuati, il 63,2% degli alberi è concentrato nelle regioni del Nord (26,4 alberi per 100 abitanti, complessivamente circa 2 milioni di alberi): nel Nord-est (dove si concentra il 32,2% degli alberi censiti a livello nazionale, circa un milione) l’indicatore raggiunge il livello più elevato pari a 31,8 ogni 100 ab.); nel Nord-ovest (31% del patrimonio censito) si contano 22,5 alberi ogni 100 ab., mentre le quote scendono al 22,4% del patrimonio al Centro (14,4 alberi per 100 ab.) e al 14,3% nel Mezzogiorno, dove l’indicatore è pari a 8,9 e 7,7 alberi per 100 ab. rispettivamente al Sud e nelle Isole.

Non solo diffuso: il verde deve essere accessibile. C’è poi il problema dell’accessibilità. “Nel patrimonio verde l’altra cosa fondamentale è che i cittadini possano usufruirne”, spiega Barbara Negroni, dottore agronomo, Consigliera nazionale dei dottori agronomi e dottori forestali (Conaf), e anche Responsabile del Dipartimento infrastrutture verdi e qualità urbana. “È vero che la “foresta urbana” come ormai viene chiamata anche a livello mediatico, serve per calmierare la temperatura, dare ossigeno, raccogliere CO2 e contrastare gli effetti del cambiamento climatico, ma deve essere anche accessibile: il verde è la molla che ti fa uscire di casa, che ti fa fare comunità, ti fa stringere rapporti sociali. Anche qui la disparità nord sud è forte e il Comitato dovrebbe servire come funzione di stimolo per incentivare sistemazioni la realizzazione di aree verdi fruibili e ben distribuite nella città, in una rete diffusa e il più possibile connesse tra di loro”. Al netto delle aree protette, la proporzione di quelle accessibili è quasi pari al 60% del complesso del verde urbano (18,9 m2 per abitante, in media). Il rapporto è più alto nelle città del Nord (29,4 nel Nord-est e 19,4 nel Nord-ovest, scende a 18,9 al Centro e a 11,9 m2 per abitante nel Mezzogiorno).

Censimento, Regolamento e Consulta: gli strumenti necessari. Ma quali sono gli strumenti di cui le amministrazioni dovrebbero dotarsi per una vera cura del verde urbano? Il Censimento è lo strumento più utilizzato dalle amministrazioni per la quantificazione e la descrizione qualitativa del proprio patrimonio verde. Alla fine del 2023 lo hanno realizzato 102 amministrazioni dei capoluoghi (93,6%), per una copertura di circa il 97,7% in termini di popolazione residente. Un ulteriore strumento è il Regolamento del verde, che contiene prescrizioni specifiche per la progettazione e manutenzione del verde comunale: risulta approvato in poco più dei due terzi dei capoluoghi (75, erano 51 nel 2014). Ma avere una piena partecipazione dei cittadini servono le Consulte ambientali, in cui possano essere spiegate le decisioni tecniche di scelte che talvolta vengono viste come mera speculazione.

Più in generale, però, come spiega il Presidente del Comitato Marco Visconti, “la sfida del verde urbano si vince con un cambiamento culturale. E poi serve formazione: i comuni devono poter contare su figure tecniche qualificate ed è auspicabile valorizzare e rinnovare le esperienze delle storiche scuole per giardinieri professionali. Serve, infine, definire obblighi più chiari e prevedere incentivi e sanzioni”.

Insomma, la sfida non può più ridursi alla manutenzione. “Il diritto all’ombra è un diritto che va garantito» conclude Barbara Negroni. «Anche perché quando si interviene con operazioni di restyling urbano o di rigenerazione di aree degradate, l’inserimento di alberi e spazi verdi porta senza dubbio benefici ambientali e sociali. Tuttavia, questi interventi generano spesso un effetto collaterale: la rivalutazione immobiliare. L’aumento dei valori delle case, sia in affitto sia in vendita, produce un innalzamento dei costi che finisce per escludere proprio le fasce della popolazione più fragili, quelle con minori risorse economiche. Invece di godere di un verde accessibile e di qualità sotto casa, queste persone vengono spinte verso le periferie, che risultano generalmente più lontane dai servizi, meno ombreggiate, meno verdi e dunque più calde e meno vivibili. Si tratta di un fenomeno che trasforma il verde urbano in uno spartiacque sociale, distinguendo aree privilegiate e ben attrezzate, accessibili solo a chi può permettersele, da zone marginali dove la carenza di vegetazione si traduce anche in disuguaglianze sanitarie e climatiche. In questo quadro, serve vigilare affinché le politiche urbane non accentuino le fratture sociali, bensì contribuiscano a colmarle”.

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Il Fatto Quotidiano

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