Un giorno anche Gaza andrà raccontata a scuola: come presenteremo ai giovani del futuro la follia odierna?
- Postato il 3 ottobre 2025
- Blog
- Di Il Fatto Quotidiano
- 2 Visualizzazioni
.png)
Da quando è iniziata la macelleria a Gaza e nella Cisgiordania, ciclicamente provo a immaginare come presenteremo alle giovani generazioni future la follia di oggi. Soprattutto come la racconteremo (data la mia età, racconteranno) quando la maggior parte del mondo, oggi sensibile, avrà dimenticato le cause, le conseguenze, le azioni e le responsabilità. Come sapremo/sapranno costruire prima un immaginario e poi una coscienza della follia che ha travolto anche i buoni di ottant’anni fa?
Nei miei quarant’anni di scuola lo studio e il racconto dell’orrore della Shoah l’ho sempre considerato il più potente degli antidoti a razzismo, al totalitarismo. Utilizzando le storie personali, i libri, i documentari, ma soprattutto i film. Quelli parlavano alla testa e alla pancia, con i loro personaggi – a volte semplificatori di condizioni umane note anche agli allievi – e con le informazioni che facevano della Storia di quel periodo un tema particolare, di quelli da trattare “in un altro modo”. Per esempio portando gli allievi in gita scolastica a un campo di concentramento: la Risiera di San Sabba in Italia, Dachau o Auschwitz in Europa. Andando a Praga, normale dedicare un giorno a Treblinka.
Gite scolastiche a volte accompagnate da qualche reduce ancora in vita e in grado di affrontare il viaggio, testimonianze e luoghi che lasciavano senza parole gli studenti, così che il viaggio di ritorno spesso si svolgeva in un silenzio innaturale. I film avevano preparato il terreno e costruito quell’immaginario su cui si innesta lo spunto a conoscere, a sapere e provare sentimenti più profondi dell’emozione del momento.
Europa Europa di Agnieszka Holland (1990), l’ho visto e commentato con i miei studenti non so neanche più quante volte. Fin dalla sua uscita mi è sembrato il più adatto a rendere il clima, la crudele progressione della persecuzione fino alla “soluzione finale”. Quel film parla di culture dell’odio, della razza eletta, dell’andare di un giovanotto di buona famiglia ebrea fra Urss e Germania nazista fino al punto di non sapere più chi è. Dunque doppiamente adatto perché è anche una lezione di storia su un ventennio che il protagonista comincia con la circoncisione rituale alla nascita e conclude vestito da soldato tedesco in mezzo a sopravvissuti del lager liberato dai sovietici.
Poi il volto del protagonista della storia – quello vero, ormai vecchio – che dalle colline di Israele guarda il mare: è al riparo, a casa sua, forse ha anche una bella famiglia e può guardare con serenità al suo e loro futuro.
Trent’anni fa Schindler’s List di Spielberg (1994), praticamente contemporaneo a Jona che visse nella balena di Roberto Faenza. Seguiranno Train de vie, La tregua, Il pianista e tanti altri film che hanno portato nella nostra cultura e nell’immaginario, anche scolastico, l’enormità della tragedia e l’orrore per il progetto di soluzione finale, il disegno che l’ha costruita e alimentata. Un sospiro di sollievo quando sono arrivati i buoni a mettere le cose a posto, con la compensazione della tragedia: la terra promessa, il riparo dall’impazzimento del mondo, il razzismo antisemita può rialzare la testa.
Questa la narrazione, così potente da mantenere la questione palestinese sistematicamente in secondo piano perfino nelle lezioni che cercavano di dare conto dell’impatto della formazione di uno stato “nuovo” in un posto che era tutt’altro che deserto. In pochi osavamo presentare agli allievi la questione di Israele come uno dei tanti lasciti avvelenati del colonialismo, oltretutto eravamo spaventati dal cinismo con cui i “fratelli arabi” gestivano la questione della Palestina. Israele come rifugio, garanzia dell’eternità del ricordo della Shoah; avamposto di democrazia in un posto dove ce n’è davvero poca, eccetera… non c’è più.
Anche se è tutta un’altra storia, ho l’impressione che nelle scuole la Shoah diventerà una lezione di mezz’ora da sbrigare in fretta “perché siamo indietro col programma”; soprattutto temo che, magari durante la visita a uno dei lager nazisti, a qualche studente potrà scappare un risolino sentendo parlare della denutrizione, delle morti per sbaglio, degli orrori consumati sui bambini e di molto altro ancora.
Non perché la macelleria di Gaza sia comparabile all’Olocausto, ma perché in entrambi i casi c’è un progetto industriale di deportazione e sterminio con solide ragioni economiche. La tragica ironia è nei carnefici, l’imbarazzo è nelle storie che raccontano i loro alleati per fingere di non sapere, di non vedere. Come le commissioni di osservatori internazionali che andavano a Treblinka, si compiacevano per le ottime condizioni in cui erano tenuti gli internati, e non si chiedevano mai dove andassero quelli che non trovavano più alla visita successiva.
Un giorno anche Gaza andrà raccontata, già si sta facendo. Quando starà per diventare Storia un nuovo immaginario sarà costruito, dai libri, dai film e dagli eventi. So che non succederà, ma mi piacerebbe tanto allora tornare a scuola per un giorno.
L'articolo Un giorno anche Gaza andrà raccontata a scuola: come presenteremo ai giovani del futuro la follia odierna? proviene da Il Fatto Quotidiano.