‘Un film fatto per Bene’ di Franco Maresco: il racconto del naufragio produttivo
- Postato il 19 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Per chi, come il sottoscritto, è stato folgorato da ragazzino dalle visioni televisive del genio sprezzante di Carmelo Bene e s’incantava tra le risa davanti al bianco nero di Cinico Tv di Ciprì e Maresco (la Rai lo mandava in onda a ora di cena!), Un film fatto per Bene di Franco Maresco è stato un appuntamento obbligatorio. Ho personalmente imposto, con veemenza da gangster, ai miei amici storici amici Lorenzo Ceccotti (in arte LRNZ) e Alessandro Caroni di rivederlo con me al cinema, poiché il film (presentato al Festival di Venezia) rappresenta una sorta di catalogo delle nostre ossessioni adolescenziali: vedere il Bernardo de Il Ritorno di Cagliostro interpretare il santo “illetterato et idiota” Giuseppe Desa da Copertino, sembrava un sogno ubriaco dei nostri sedici anni.
Per chi non fosse iniziato ai misteri esoterici dei culti beniani e ciprimareschiani, il film è sicuramente un oggetto alieno, forse incomprensibile: girato con alcune parti in bianco e nero n pellicola a metà tra Dreyer e Pasolini, altre a colori in video da backstage, è il racconto di un fallimento. Maresco avrebbe dovuto girare in cinque settimane un film su un regista che a sua volta avrebbe dovuto girare un film (sospeso tra il Seicento e gli anni ‘70) sull’incontro tra Carmelo Bene e il maestro elementare che lo aveva introdotto alla figura del Santo; esasperato dai ritmi produttivi, manda tutti a quel paese e scompare. L’amico Umberto Cantone, sceneggiatore del progetto originale assieme a Claudia Uzzo, si mette sulle sue tracce per provare a concludere l’opera.
La prima impressione è che il film sia un mockumentary, una sorta di gioco metacinematografico e autocitazionistico: troppo facile ipotizzare che Maresco abbia realizzato il proprio Otto e mezzo, o meglio ancora il proprio Mi ameranno quando sono morto. E invece è tutto vero.
Giovedì 18 settembre 2025 al Quattro Fontane di Roma si è tenuta una proiezione introdotta dal produttore Andrea Occhipinti (Lucky Red) e dal grande Antonio Rezza (forse unico erede artistico di Bene): in platea c’erano alcune delle menti migliori della cultura italiana, dal regista Carlo Hintermann a Luigi Cascio, dal cantautore Ivan Talarico a Valerio Lundini. Occhipinti ha ribadito che la storia narrata non è finzione: è il racconto del naufragio produttivo: Rezza ha confermato, rivelando inoltre che siamo davvero nell’Era del Surrealismo Realizzato (come dichiara una geniale pagina Facebook): avrebbe dovuto girare lui nel 2008 un film su Giuseppe Desa, accanto a Lino Banfi (!).
Il film riesce attraverso la logica irrazionale eppure rigorosissima, l’irresistibile comicità grottesca e il percorso negativo dell’autodistruzione nichilista, propri dell’autore, nell’intento originale, esattamente grazie all’esito disastroso.
Paradossalmente, il film non parla praticamente mai di Bene (che amava Cinico Tv e collaborò con Ciprì e Maresco), il quale appare come un’epifania sfuggente sullo schermo, ipnotizzando nella sua carismatica incomprensibilità gli spettatori “divinamente dioti”, oppure con consapevole ironia goffamente imitato, o ancora evocato attraverso allusioni alle sue apparizioni di culto (la parodia di Strehler in un omaggio rossiniano a Sade durante Domenica In!).
Il film è in primo luogo su Franco Maresco. Da un lato è una (legittima) celebrazione del suo ruolo straordinario, accanto a Daniele Ciprì, nella detonazione delle convenzioni televisive e cinematografiche, dall’altro una tragica quanto divertentissima esposizione auto-denigratoria del proprio disturbo ossessivo-compulsivo e di un nerissimo pessimismo apocalittico. Soprattutto è un film sull’impossibilità di fare cinema: in questo senso, è il film più beniano possibile, perché dà forma visuale agli strali di Bene contro la settima arte riassunti nel libro Contro il cinema (curato per Minimum Fax da Emiliano Morreale, unico critico a cui Maresco ha concesso un’intervista sul film). Ma, al di là della riflessione sul cinema stesso, nel suo fallimento spettacolare Maresco testimonia magnificamente tutti i cardini della Weltanschauung di Bene: la mistica idiozia, la volontà che non è “mai buona”, la rivolta sadianamente fonte di disordine anche da morto, la saggezza pessimista e popolare del “Sud del Sud dei Santi” che diventa sberleffo sapiente e cupissimo.
Fallendo, Maresco è riuscito, perché come ripeteva Bene, interpretando i versi di Laforgue su Amleto con una profondità filosofica affine alla Bhagavad Gita: “Nostro è l’intento, ma l’esito no”.
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