Tutti in sala con Gianfranco Rosi, Tom Hiddleston, Julia Ducournau e la Palestina di Cherien Dabis
- Postato il 18 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Originariamente novella di Stephen King all’interno di una raccolta, The Life of Chuck si presenta in tre atti, presentati dal terzo. In questa distopia che al suo inizio vede il mondo terminare, l’unico inspiegabile barlume sembra questo Charles, o più confidenzialmente Chuck, ritratto in ogni cartello pubblicitario. È solo un comune contabile ma si rivelerà punto catartico della fine del mondo. La regia tecnica di Mike Flanagan si agganciava bene a serie horror come Casa Usher, ma già scricchiolava con il Doctor Sleep, seguito infelice di Shining, e con il Chuck (tutti di King peraltro), racconto denso di mistero ed empatia, ora plana a valle perché sembra priva di quei sentimenti che invece vorrebbero toccare la voce narrante e alcune scene poetiche. Prendiamo l’importante sequenza del ballo in strada, poteva fare la storia affiancandosi a La La Land. Tom Hiddleston e Annalisa Basso danzano in maniera sublime con una grande coreografia. Ma la fotografia appiattisce il pathos mentre latitano invenzioni di camera e intenzioni iconiche. Peccato, pure toccante la vicenda, ma il film non fa centro.
Non convince completamente neanche Julia Ducournau con il suo Alpha. Forse per le alte aspettative dovute a Titane. Comunque l’idea di un virus letale che rende i contagiati pian piano minerali, di marmo, è davvero geniale. La giovanissima Alpha vive con difficoltà i suoi 13 anni tra una madre medico schiacciata dal lavoro incessante contro il virus, e uno zio malato in casa. Tahar Rahim rinsecchisce il suo corpo, accartocciandolo nel suo ruolo sofferente per una performance fisica ed emotiva che toglie il respiro. Intorno a questi due dettagli focus la narrazione pur dal linguaggio accattivante prende il ritmo di un virus-movie stanco, eppure il percorso della giovane protagonista sarebbe niente male.
E arriviamo a Napoli, più precisamente Sotto le nuvole con quella volpe, anzi, quel Leone di Gianfranco Rosi, fresco del Premio Speciale della Giuria a Venezia 82. “Napoli è la fabbrica delle nuvole del mondo”. L’assunto di Jean Cocteau che Rosi dimostrerà con il suo doc. Allora sotto quel cielo, il regista italiano nato ad Asmara, per tre anni ha seguito tante piccole storie flegree. Gli incessanti scavi certosini di Pompei; i meandri di un museo che racchiude disordinate stratificazioni di epoche passate; il centralino dei pompieri che di notte riceve chiamate dalle persone spaventate dalle scosse; i portuali che scaricano farina ucraina; un direttore di museo impegnato ad arginare i tombaroli e la rete di cunicoli segreti utilizzata dagli stessi; un pensionato babysitter che tiene ripetizioni ai ragazzini del quartiere, e infine una Napoli ritratta da un bianco e nero alla Salgado.
Immagini potentissime di una Napoli inedita si alternano a drammi e ironie partenopee in un mix impossibile in qualsiasi altro posto nel mondo. Con la sua archeologia come materia tangibile del tempo, il nuovo film di Rosi è drammaturgicamente perfetto e antropologicamente imprescindibile.
Giungiamo infine alla Palestina del 1948 con Tutto quello che resta di te, della regista e protagonista palestinese-americana Cherien Dabis. I suoi occhi riflettono con fragore composto l’occupazione forzata dei territori palestinesi dalle prime enclave israeliane di metà novecento. In conseguenza della cacciata da Jaffa, una famiglia di produttori di arance sopravviverà, noi ne seguiamo tre generazioni fino al 2022. Ma la storia si sposterà nei campi profughi in Cisgiordania, veri e propri quartieri di casette malmesse.
A volte un film può raccontare la realtà più di ogni verità sbandierata sui media. Ne è questo il caso. La dignità palestinese, donare vita per dare un senso al dolore della perdita, scegliere di resistere pur contro il rischio di perdere la dignità, sono solo alcuni dei temi che accerchiano le nostre coscienze educate sui banchi di scuola da paginette di storia edulcorate sulle violenze che il popolo di Palestina sopporta da ottanta anni, pagando il prezzo di una pace difficile firmata alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il film ha avuto la sua anteprima mondiale al Sundance 2025, il festival fondato da Robert Redford, e possiamo dire che si allinea insieme al grande attore e regista appena scomparso su un messaggio di pace e convivenza tra i popoli. Da non perdere. #PEACE
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