Trump tenta di imporre la pace con la forza a Gaza: così Israele potrà giustificare nuovi attacchi in Iran
- Postato il 6 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha presentato il suo piano per porre fine alla guerra a Gaza come punto di riferimento centrale per tutte le parti in causa, un quadro attraverso il quale intende attuare la sua più ampia visione di pace in Medio Oriente.
In realtà, ciò che ha proposto non è sostanzialmente diverso da quanto ripete da tempo. Ciò che è cambiato è il modo in cui questo progetto viene imposto: una traduzione della retorica che domina la sua epoca, dove la “pace con la forza” viene avanzata come dottrina, da imporre a tutti se non può essere raggiunta volontariamente.
Da un’altra prospettiva, la proposta americana non può certo essere considerata accettabile da Hamas. Al contrario, equivale a una formula di resa forzata, concepita per spingere Hamas fuori scena, perfettamente allineata alle preferenze di Netanyahu e lasciando ad Hamas e ai suoi alleati uno spazio di manovra insolitamente ristretto. La risposta del movimento ha riflesso questa realtà: l’accettazione di liberare ostaggi vivi e morti in un’unica mossa. È stato questo il punto più importante, costruito per compiacere la vanità del presidente Trump e dare l’impressione di una svolta verso la pace, l’eredità che Trump cerca in questa fase.
Tuttavia, le controproposte di Hamas segnano una svolta significativa rispetto a quanto presentato in precedenza. Posizionandosi come parte inseparabile della scena politica palestinese, collegando la questione del disarmo a un’autorità palestinese e, soprattutto, ponendo la richiesta di uno Stato palestinese e di un quadro di governo per Gaza, Hamas ha segnalato la propria intenzione di adottare un modello più vicino al ruolo di Hezbollah in Libano: mantenere una presenza interna pur salvaguardando la capacità di influenzare la politica interna.
Sebbene queste richieste difficilmente saranno una priorità per l’amministrazione americana oggi, nessuna parte può opporsi all’immediata urgenza di fermare la guerra e liberare gli ostaggi. Raggiungere questo obiettivo sembra realistico, e potrebbe costringere Israele a rinviare una risposta militare, anche se le questioni di fondo rimarranno profondamente controverse nelle fasi successive.
A livello regionale, cosa significa “pace con la forza” per l’Iran? Teheran si trova oggi forse nella sua posizione più vulnerabile, di fronte a un isolamento internazionale crescente, nuove sanzioni e un’influenza ridotta su fronti che un tempo rappresentavano carte negoziali. L’Iran ne è perfettamente consapevole. Dopo la sua recente visita a Beirut, Ali Larijani ha sottolineato le capacità di Hezbollah e il lavoro di ricostruzione, un promemoria simbolico che i fronti lungo i confini di Israele non sono chiusi e possono essere riattivati in qualsiasi futuro confronto.
“Pace con la forza” rischia dunque di diventare l’etichetta distintiva dell’amministrazione Trump, e la sua logica si applica soprattutto all’Iran. Israele, che non ha mai abbandonato l’idea di colpire obiettivi all’interno del territorio iraniano sin dalla guerra dei dodici giorni dello scorso giugno, può trovare in questa strategia americana la giustificazione più chiara. Essa pone l’Iran sotto la minaccia diretta di un confronto non solo con Israele, ma anche con gli Stati Uniti e, potenzialmente, con l’intera comunità internazionale.
La rapida adesione di Israele alla visione di Trump riflette una nuova realtà: Trump è diventato al tempo stesso garante ed esecutore della pace. Una pace che coincide quasi perfettamente con gli interessi fondamentali di Israele: plasmare il futuro di Gaza secondo i propri termini, evitare reali pressioni sulla Cisgiordania ed estendere un quadro regionale che va dalla Siria al Libano e, in ultima istanza, all’Iran.
Mentre Trump esalta l’espansione degli Accordi di Abramo e parla di una “pace imminente”, l’Iran viene rappresentato come il principale ostacolo, anzi, come la radice stessa dell’instabilità. In fondo, questa versione della pace mira esplicitamente a smantellare milizie e arsenali, ossia l’ossatura stessa della strategia regionale iraniana.
In altre parole, partire da Gaza potrebbe condurre inevitabilmente a uno scontro con l’Iran. Smantellare questi fronti sotto il vessillo della pace rende l’arena iraniana il campo di battaglia centrale, lasciando a Teheran opzioni molto limitate. Non si tratta di una pace offerta con la mano tesa, ma imposta al ritmo dei tamburi di guerra. Il motto dell’amministrazione, ripetuto spesso, soprattutto con la mossa simbolica di rinominare il Dipartimento della Difesa in Dipartimento della Guerra, è chiaro: se vuoi la pace, devi prepararti alla guerra.
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