Strage di Avellino, le motivazioni della condanna di Castellucci: “Gravi carenze organizzative”

  • Postato il 16 luglio 2025
  • Giustizia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Giovanni Castellucci non può essere ritenuto responsabile soltanto di “occasionali disfunzioni” nella gestione, ma di “gravi carenze organizzative imputabili, a monte, alla politica degli organi di vertice”. Per questo l’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia è stato condannato in via definitiva a 6 anni di reclusione per la strage di Avellino e si trova ora rinchiuso nel carcere di Rebibbia. In primo grado era stato assolto dal Tribunale di Avellino, sentenza poi ribaltata dalla Corte d’Appello di Napoli e confermata dalla Cassazione. Nelle 256 pagine con le quali motiva la conferma della pena, la Suprema Corte traccia un quadro delle responsabilità dirigenziali che hanno contribuito in modo determinante alla strage del viadotto di Acqualonga a Monteforte Irpino, in provincia di Avellino, sull’autostrada A16 Napoli-Canosa, dove morirono 40 persone che si trovavano a bordo di un bus che rientrava da San Giovanni Rotondo. Era il 28 luglio 2013.

I giudici richiamano, in più passaggi, la decisione della Corte d’Appello di Napoli, che aveva già ribadito come la programmazione relativa alla riqualificazione delle barriere bordo laterale rientrasse in una “area strategica” della politica aziendale. Nessuna norma, né di legge né regolamentare, avrebbe esonerato Castellucci dai suoi obblighi di controllo e intervento. Si trattava, ricordano i giudici, dell’attività principale del concessionario, e come tale soggetta a obblighi inderogabili. La Cassazione entra anche nel merito delle competenze organizzative interne ad Autostrade. Tra i passaggi più significativi della sentenza, la Corte sottolinea che gli imputati della concessionaria rivestivano una “posizione di garanzia” per la sicurezza della rete autostradale e che chi occupa ruoli apicali non può delegare “le funzioni strettamente attinenti ai profili strutturali dell’organizzazione”, specie se coinvolgenti le scelte strategiche aziendali.

Inoltre, viene smontata la tesi difensiva che tentava di distinguere tra interventi di riqualificazione, di manutenzione ordinaria e straordinaria, attribuendo solo ai livelli periferici – le Direzioni di Tronco – la responsabilità per la manutenzione. La lettura viene giudicata “complessivamente infondata” dalla Suprema Corte. Di particolare rilievo è l’analisi svolta dai giudici sull’articolazione organizzativa di Aspi, così come ricostruita dalla consulenza tecnica del professor Giovanni Fiori, sentito in primo grado su richiesta proprio della difesa di Castellucci.

Con la sentenza, la Cassazione ha confermato tutte le altre condanne emesse in secondo grado per i dirigenti coinvolti nella vicenda. Sono stati respinti i ricorsi presentati dai legali di Gianluca De Franceschi, Nicola Spadavecchia, Giulio Massimo Fornaci, Michele Renzi, Bruno Gerardi, Paolo Berti, Marco Perna, Gianni Marrone e Riccardo Mollo. La Suprema Corte ha invece rideterminato le pene per due imputati: Antonietta Ceriola, dipendente della Motorizzazione civile, condannata a 4 anni, e Gennaro Lametta, proprietario del bus su cui viaggiavano le vittime, la cui pena è stata fissata in 9 anni.

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Il Fatto Quotidiano

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