Sono passate epoche. Padre mio! Sei andato via con la tua pazienza. In un giorno di dicembre come oggi

Sono passate epoche.
Forse soltanto anni.
Anni lunghi.
Padre mio.

Indelebile ogni gesto.
Ogni parola.
Ogni sguardo.
Ogni stretta di mano.
Indelebile.

La vita è un attraversare macerie che si credono,
o si vivono, come ricordo.

Il ricordo è infatti un cumulo di macerie
che restituisce il passato come presente:
una mera illusione.

Il passato non riporta ciò che era presente
mentre lo si viveva.
È soltanto una geografia esistenziale
che non c’è più.

Resta soltanto un pensiero.
Un pensare.

Un cercare di ritornare a un tempo
che si è frantumato nel mosaico della memoria.

La morte del padre è un mosaico.

Certo.

Non solo una frammentazione.

Come la perdita della madre.
Non smettono di essere il respiro.
Il mio respiro.

Nonostante le epoche o gli anni.
Sono la mancanza.

Virgilio Italo Bruni

Come oggi sei andato via, padre mio,
con il tuo dolore
e la tua paziente ironia saggia.

Non c’ero.

L’ho scritto altre volte.

Mia madre era accanto a te
e, a due passi, Giulia.

Entrambe ora sono con te.

Il tempo è tragico.
Anche misero.

L’assenza svuota tutto,
ma resta impeccabile davanti a Dio.

Ma so che ci sei.

So che ci siete come aquiloni nel vento della mia anima,
dentro il terreno profondo del mio sottosuolo antico,
dal quale scruto i pianeti del mio esistere.

Ci siete non come ombre.
Ci sei, padre, in una realtà che non posso toccare,
ma osservare, vedere, contemplare, amare, vivere quotidianamente.

Ci sei quando mi trovo a fare delle scelte.

Ti mostri con la tua nobiltà e la tua calma,
nel segno del coraggio,
sempre come guida o capitano del mio viaggio.

È come se guidassi la rotta della mia zattera
e la allontanassi sempre dalla deriva e dalle risacche.

Ti ascolto come sempre
e, come sempre, ti seguo.
Non dirò mai “sei stato” il mio porto, come mia madre.

Sei il mio porto, come è il mio porto madre Maria.

Mi dai in dono la volontà del credere alla fedeltà.

Mi date il dono della felicità che supera il dolore:
quella felicità che è il dono del non arrendersi,
coltivando la quiete e non il naufragio.

Il dono che l’abbandono non può esistere sino all’ultimo respiro.

Sono stato in paese.
Proprio oggi.
A casa nostra.
Ho vagato tra le stanze.
Io solo.
Le stanze sole.
È come se mi aspettassero.

E io sono arrivato.
Puntuale.
Con il sorriso
e con la vostra presenza in me.

Il giardino d’inverno è in fiore.
Rose sulla scalinata.
Boccioli in attesa.

L’aranceto dolce — che tu chiamavi, anzi chiami, maltese —
ricco di arance.

Ho preso una rosa e alcune arance.

Il silenzio è il regno non della malinconia o della solitudine,
ma della contemplazione
e dei pensieri che recitano la mia vita.

Libri sparsi dappertutto.

È il senso dell’incompiuto.
Misterioso e mistico abitare l’incompetenza.

Un destino non costruito, tanto meno cercato.

Il destino è.

Non si cerca il proprio destino.

Tutto accade nel destino.
Sono convinto di ciò.

Questa consapevolezza è il mio essere religiosamente nel mondo.

Mi attraversi.

Mi attraversate: tu, madre Maria e Giulia.

Siete epoche allora?

In me siete epoche che non spariscono.

Vi racconto in me
come voi mi raccontate in me.

Scrivo sempre sotto dettatura.
L’ho sempre intuito, percepito, catturato.

Forse anche per questo scrivere è vivere
nel sottile gioco del mio esistere.

Un magico mistero.

Una sacralità antica.

Come un giocatore di scacchi che non conosce le regole
e muove sempre la pedina necessaria.

Non è un intrigo o un paradosso.
È semplicemente la mia vita.

La nostra vita,
che senza di voi sarebbe un’altra vita.
Sarebbe stata un’altra vita.

Siete la mia perseveranza.

Padre di sempre,
sono passati anni.
Anni lunghi.

Il cielo è bigio.
Una pioggerellina di dicembre bagna il parabrezza dell’auto.
Cammino piano.

La rosa che ho colto è sul sedile accanto.

La lentezza mi accompagna.
Non sono triste.
Non ho nostalgia.
Mai rimpianti.
Ho la pacatezza di una spiritualità antica.

Porto nella tasca della giacca sempre un rosario.
Mi fa compagnia
e mi regala armonia.

Con l’armonia orante
vi porto con me
in qualunque mio viaggio.
L’essenza di tutto è nel non perdersi.

Mi insegni, padre,
che la pazienza è la luna sciamana
che ha sette sfumature,
come le tredici lune delle nostre tartarughe
che vagavano nel giardino
e si fermavano sotto l’ombra delle palme.

Come quel giorno che ti sei messo in viaggio,
anche oggi il vento ha il crepuscolo rosso
e l’alba è un’aurora d’isola.

Ma se gli anni passano e si fanno lunghi,
le epoche restano nel cuore del tempo.

Sono passate epoche, padre mio.

Sei andato via con la tua pazienza.

In un giorno di dicembre come oggi.

(21 dicembre 2025)

….

Pierfranco Bruni è nato in Calabria. Archeologo, direttore del Ministero dei Beni Culturali e, dal 31 ottobre 2025, membro del CdA dei Musei e Parchi Archeologici di Melfi e Venosa, nominato dal Ministro della Cultura; presidente del Centro Studi “Francesco Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.

Nel 2024 è stato Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.

Incarichi in capo al Ministero della Cultura:

Presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;

Presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;

Segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.

È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse” e presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.

Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con studi su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e sulle linee narrative e poetiche del Novecento che richiamano le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.

Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale esplora le matrici letterarie dei cantautori italiani e il rapporto tra linguaggio poetico e musica, tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.

Studioso di civiltà mediterranee, Bruni unisce nella sua opera il rigore scientifico alla sensibilità umanistica, ponendo al centro della sua ricerca il dialogo tra le culture, la memoria storica e la bellezza come forma di identità.
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