Siria, i rapimenti a catena delle donne e delle ragazze alauite

  • Postato il 11 agosto 2025
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Dai rancori tra comunità siriane, in un ciclo di attacchi e ritorsioni che dalla caduta di Bashar al-Assad pare non avere fine, emergono dati poco noti e raccapriccianti.

Da febbraio Amnesty International ha ricevuto informazioni attendibili su almeno 36 rapimenti di donne alauite di età compresa tra i tre e i 40 anni, avvenuti nelle province di Latakia, Tartus, Homs e Hama, ad opera di individui non identificati. Di questi casi, 28 sono stati segnalati da due attiviste, da due giornalisti e dalla Syrian Feminist Lobby, un’organizzazione indipendente per i diritti umani. La metà delle 28 donne e ragazze è stata liberata. La sorte e il luogo in cui si trovano le altre rimangono sconosciuti.

Amnesty International ha indagato direttamente su otto dei 36 rapimenti, ai danni di cinque donne adulte e di tre minorenni. Solo due delle otto persone rapite sono riuscite a fare ritorno alle proprie famiglie. L’organizzazione per i diritti umani non è a conoscenza di alcun arresto, incriminazione o procedimento giudiziario nei confronti dei responsabili.

Amnesty International ha intervistato alcuni parenti stretti delle otto donne e ragazze rapite. In quattro casi, le famiglie sono state contattate dai sequestratori tramite numeri siriani o utenze straniere, di paesi come Iraq, Emirati Arabi Uniti e Turchia, per chiedere un riscatto o per minacciarle nel caso in cui cercassero le loro congiunte. In sei casi, le stesse vittime di sequestro affermavano di essere in buona salute. Un parente di una ragazza ha raccontato: Era andata in città. La famiglia la aspettava di ritorno nel primo pomeriggio, orario dell’ultima corsa del taxi per il suo villaggio. Ha scritto un messaggio dicendo che era arrivata, ma dopo qualche ora, invece di vederla tornare, la famiglia ha ricevuto una chiamata da un numero straniero che diceva: ‘Non aspettatevi che torni. Vi stiamo chiamando per farvelo sapere. Non provate a cercarla’.

Alcune settimane dopo, è stata fornita una prova che la ragazza era ancora in vita ed è stato chiesto un riscatto. La famiglia ha pagato, ma la ragazza non è stata liberata.

Due delle rapite, che erano sposate, hanno contattato le rispettive famiglie per chiedere il divorzio dai mariti, informandole che sarebbero state, o erano già state, costrette a sposare i loro sequestratori. Una parente di una delle donne ha raccontato: Tre giorni dopo la sua scomparsa, la famiglia ha ricevuto dei messaggi vocali da un numero straniero. Era lei. Ha detto: ‘Sto bene… Non preoccupatevi per me… Non mi ha fatto del male, ma mi ha sposata. Mi ha detto che non posso tornare…’.

In un altro caso, una ragazza minorenne è stata rapita a scopo di estorsione. In seguito, la famiglia è stata informata dalle forze di sicurezza siriane che la giovane era stata “data in sposa”. Amnesty International ha verificato in modo indipendente i dettagli del caso, confermando che il matrimonio è avvenuto senza il consenso dei genitori della ragazza e con ogni probabilità senza l’autorizzazione del tribunale, quindi è illegale secondo la legge siriana.

Amnesty International ha ricevuto una fotografia che mostra una ragazza sotto i 18 anni, rapita per ottenere un riscatto, con evidenti segni di percosse. In un altro caso, Amnesty International ha visionato un video in cui un familiare spiegava che il sequestratore, dopo aver rapito la sua parente insieme al figlio, le aveva rasato i capelli per punirla dopo che aveva rifiutato di sposarlo.

Per come sono avvenuti, i rapimenti delle donne e delle ragazze alauite potrebbero configurarsi come tratta di esseri umani. In tutti gli otto casi documentati da Amnesty International, le famiglie hanno denunciato formalmente la scomparsa dei propri cari alle autorità, compresa la polizia locale e la Sicurezza generale, sia nella zona in cui è avvenuto il rapimento sia nel luogo di residenza. Tuttavia, in tutti i casi tranne uno le autorità non hanno fornito informazioni sullo stato delle indagini.

Un parente di una donna rapita a febbraio ha contattato più volte la Sicurezza generale, fornendo anche il numero di telefono del presunto sequestratore che li aveva contattati. Nonostante ciò, a oggi, la famiglia non ha ricevuto alcuna informazione o aggiornamento da parte delle autorità.

In tre casi, i familiari hanno riferito ad Amnesty International che polizia e Sicurezza generale li hanno accusati di essere responsabili del rapimento, ad esempio rimproverandoli per aver permesso alle donne o alle ragazze di uscire di casa o deridendoli per non aver saputo proteggerle o ancora hanno ignorato piste e prove concrete, affermando che erano irrilevanti o false, nonostante la loro evidente attendibilità. Una parente di una donna rapita direttamente dalla propria abitazione ha raccontato i tentativi disperati della famiglia di ritrovarla: La famiglia si è rivolta alla Sicurezza generale e ha presentato una denuncia ufficiale, ma il trattamento è stato terribile… Hanno accusato la famiglia di non essere riuscita a impedirne il rapimento… La famiglia si è pentita di esserci andata. Poi però nelle settimane successive sono tornati [alla Sicurezza generale], ma non è cambiato nulla. Si sono sentiti dire solo che non era successo niente e che non si sapeva chi l’avesse presa.

Alcuni familiari che hanno ricevuto richieste di riscatto, compresi i parenti di una minorenne, hanno dichiarato ad Amnesty International di aver informato la Sicurezza generale di ogni telefonata, fornendo il numero telefonico e i nomi delle persone a cui dovevano essere inviati i pagamenti, ma non risulta che le autorità abbiano intrapreso alcuna azione.

Nei casi in cui le donne e le ragazze sono state liberate, spesso i familiari hanno subito smesso di parlare dell’accaduto. Hanno spiegato che la scelta è stata motivata principalmente dalla paura di ritorsioni, da parte sia dei responsabili – che non sono stati arrestati – che delle autorità, che hanno intimato alle famiglie di stare zitte e ordinato alle sopravvissute di negare che il rapimento fosse mai avvenuto.

Il 22 luglio il Comitato d’inchiesta istituito dal presidente siriano al-Sharaa per indagare sulle uccisioni avvenute sulla costa siriana ha laconicamente dichiarato di non aver ricevuto alcuna segnalazione di rapimenti di donne o ragazze.

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