Senza l’attenzione dei media, le vittime delle guerre in Africa muoiono due volte

  • Postato il 24 agosto 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Si può nascere più di una volta e, appunto, morire più di una volta. Tutto dipende dal luogo, dal momento e soprattutto dalla ‘qualità’ del deceduto. Tra vita e morte c’è una un’esigua passerella che permette di attraversare il fiume che congiunge i due momenti. Come dire che le due realtà non sono affatto separabili e l’una riflette l’altra.

Nascere, ad esempio, in quella porzione d’Africa chiamata Sahel e più specificatamente nelle ‘Tre Frontiere’, Burkina Faso, Mali e Niger, non è lo stesso che nascere in un Paese come l’Italia. Non è questione di fortuna e neppure di cieco destino ma solo parte di quell’insondabile mistero che è la vita umana. Esso è in parte scritto e in parte da scrivere nella quotidiana umana avventura che ci ostiniamo a chiamare storia.

Per dire, in forma diretta, che se uno contava poco da vivo, perché scartato, irrilevante o addirittura invisibile, si porterà le stesse caratteristiche anche da morto. Per il mondo che decide ciò che è degno di nota, essere uccisi dai gruppi armati nel Sahel non è lo stesso che esserlo in Ucraina o nel carcere a cielo aperto di Gaza.

L’anno scorso i conflitti armati riconosciuti, ripartiti in 36 Paesi, sono stati 61. L’Africa rimane il continente più toccato assieme all’Asia. Peraltro, secondo il Comitato Internazionale della Croce rossa, i conflitti armati sarebbero oltre 120, un record dal 1946. Molti di questi sono lontani dagli schermi televisivi, le cronache o i mezzi di comunicazione che ‘contano’ e dove i morti, appunto, muoiono due volte. La seconda per dimenticanza, distrazione, censura o ignoranza. Lontani e invisibili da vivi, lo sono stati anche da morti.

Nel Sudan, preda di una guerra tra le forze armate governative e forze paramilitari, una quarta guerra (in)civile, dal 2023 ad oggi, ci sono stati centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati e rifugiati. Durante la mia permanenza nel Niger ho avuto modo di incontrare e talvolta sostenere decine di rifugiati originari del Sudan. La guerra lontana diventava in modo insolente e drammatico il volto di donne, giovani e bambini nati nel frattempo in esilio.

Nelle poche settimane che mi separano dal ritorno in patria è stato inutile o impossibile sentirne parlare. Morti due volte, considerati lontani e di poco peso, proprio come hanno vissuto. O allora nella Repubblica Democratica del Congo, ex Zaire, dove si è trovato e portato via l’uranio che avrebbe permesso la costruzione e l’uso delle prima bomba atomica. Questo immenso Paese ha conosciuto uno dei conflitti più mortali dopo la seconda guerra mondiale.

Si stima che i morti per le guerre che si sono succedute dal 1994, la crisi nel Ruanda, ad oggi, siano stati circa 6 milioni e altrettante le persone sfollate. Conflitti armati, spesso motivati per la rapina delle preziose risorse minerarie, che perdurano fino ai nostri giorni, con il silenzio e la complicità dei paesi interessati alle terre rare. Non molti sapevano di questa ‘terza guerra mondiale’, lontana e misconosciuta anche e specialmente perché africana – continente, come disse un noto presidente francese a Dakar, fuori della storia.

In dieci anni, secondo il Centro per gli Studi Strategici per l’Africa, nel continente vi sono stati circa 150 mila morti a causa del terrorismo ad opera di gruppi armati militanti ‘islamisti’. I 22.307 morti di quest’anno, legati a questi gruppi, rappresenta un livello record di letalità. Quasi la metà dei morti segnalati si è prodotta nel citato Sahel. Morti nel vento e nella polvere della dimenticanza e l’apparente inutilità. Morti di seconda mano, contadini per la maggior parte, già ai margini per abitudine o per noncuranza. Gente di poco peso e per i quali pochi sarebbero disposti a prenderne le difese o la causa.

Morti come quelle cosiddette ‘bianche’, anch’esse accadute senza lasciare troppe tracce. Nel mondo sono in realtà una vera e propria guerra e si stima che si tratti di 3 milioni di persone morte nel mondo in seguito ad incidenti o malattie legate al lavoro. In crescita rispetto ad anni precedenti anche per l’aumento della manodopera mondiale.

Contare di più nella vita per non passare inosservati nella morte. Questa è prima missione della politica.

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Il Fatto Quotidiano

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