Cifre inverosimili per chi parte, ma anche per chi resta in città: così si creano malessere e rabbia

  • Postato il 24 agosto 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il costo di un figlio oggi sta raggiungendo livelli mai visti prima. Il motivo è duplice: da un lato l’inflazione, i prezzi di tutti i beni in crescita costante. Dall’altro, il fatto che sempre più beni ed esperienze diventano qualcosa di cui nessun genitore vuole privare i propri figli. Imparare a nuotare, fare sport durante l’anno, andare fuori ogni tanto a mangiare una cosa con gli amici e, appunto, fare un po’ di vacanze.

Ma se già una famiglia “normale”, quelle che l’Istat non classifica come povere, quelle che il governo neanche vede e a cui non arriva nessun welfare, nessun bonus, se una famiglia come queste fatica ad arrivare a fine mese durante l’anno (quando la spesa principale sono i generi alimentari: se si hanno due o più figli adolescenti non basteranno mille euro), con le vacanze il problema si complica enormemente. Perché ogni spostamento costa tantissimo. Perché sconti per le famiglie ce ne sono pochissimi, perché i prezzi dei beni e servizi legati al turismo sono, anche a causa dei turisti stranieri, lievitati in modo esponenziale.

Prendiamo una famiglia che voglia fare una vacanza spostandosi dal centro Italia in Trentino: se lo farà con il treno, e avrà figli già grandicelli ma che certo non portano a casa uno stipendio, pagherà praticamente 4 biglietti interi, l’equivalente di centinaia di euro. Se ci va in macchina, tra benzina e autostrada, spenderà un po’ meno, mettendo a rischio però maggiormente la propria incolumità.

Affittare una casa in montagna oggi costa almeno, e parliamo di una casetta, mille euro a settimana, se ci si ferma due settimane nel migliore dei casi duemila. Poi ci sono i pasti, quindi la spesa per due settimane, più la benzina per raggiungere i posti per le passeggiate, i costi per funivie e seggiovie, i soldi per mangiare a pranzo e cena ogni tanto se non si vuole sempre cucinare la sera e mangiare panini a pranzo. Proprio andare al ristorante, se si è una famiglia, è particolarmente frustrante. Si spenderanno almeno 70 euro per mangiare probabilmente pure male, altrimenti l’alternativa è sempre cucinare, come tutto l’anno. Insomma, stare sotto i quattromila euro per due settimane è impossibile, e anche quattromila probabilmente, anzi sicuramente, non basteranno.

Se poi l’intera famiglia vuole andare all’estero, dovrà preventivare cifre assai maggiori: i voli per quattro o cinque persone (anche qui i bambini pagano come gli adulti) possono arrivare a migliaia di euro, poi ci sono le case vacanze (l’albergo è inaccessibile, con figli adolescenti si viene obbligati a prendere due stanze) che per quattro costano in genere, nei luoghi turistici, minimo 150-200 euro a notte e le spese per tutto ciò che si vuole visitare durante il giorno. Ad esempio, non in tutti i paesi i musei sono gratis: e se un biglietto costa sui venti euro significa che una famiglia, per entrare in un museo, deve spendere 70-80 euro. Spese che vanno sommate a tutte le altre.

Restare in città, però, non è gratis. Se il mare è vicino, bisognerà comunque spendere per lettino e ombrellone e pranzo e sappiamo quali sono i costi. Se invece si vuole andare in piscina, meno di 15 euro al giorno a persona non si troverà. In sé potrebbero non sembrare tante, ma se si è in quattro diventano 60. Se poi ci si aggiungono caffè e gelati al bar arriviamo a 70 euro per un solo giorno. Quanti giorni di piscina potrà permettersi una famiglia “normale”?

La questione non è solamente matematica. Il problema delle vacanze che costano cifre inverosimili può creare depressione, disperazione a ansia nelle famiglie che vorrebbero partire, rilassarsi e non possono farlo. Oppure vorrebbero che i propri figli potessero usufruire di esperienze formative, o fare più mare e montagna, ma non possono. E’ tutto un continuo fare i conti, cercare sconti, valutare strutture, ma bisogna anche mettere in conto che pure la ricerca delle vacanze più economiche produce stress, litigi, fatica.

Le soluzioni messe in atto ormai sono note: si parte meno giorni, si parte solo per il fine settimana, si cercano i last minute, e per il resto ci si rassegna a stare in città, magari trovano una piscina non troppo esosa e portandosi il pranzo da casa, per poi godersi un caffè e basta al tavolino.

In questa situazione, come ho già scritto, incontrare prezzi impossibili e al tempo stesso convivere con turisti che invece possono permettersi la cabina di lusso, pranzo e cena fuori, servizi aggiuntivi, crea malessere e rabbia. Perché forse la differenza con le vacanze con gli anni Sessanta e Settanta sta qui. Allora certo i prezzi erano inferiori e il potere d’acquisto maggiore (ricordiamo che gli stipendi non sono cresciuti negli ultimi decenni), le famiglie “normali” potevano affittarsi la casa per un mese al mare al prezzo di una settimana oggi.

Ma la cosa più diversa da oggi, credo, fosse la diseguaglianza. Cioè si era tutti un po’ simili, i turisti “altospendenti”, che tanto piacciono ai nostri politici, erano molti di meno e frequentavano altri lidi, e questo ci faceva sentire un po’ meno poveri, anche perché tutti simili. C’era meno invidia sociale, c’era meno frustrazione.

Da questo punto di vista, sarebbe molto intelligente oggi evitare raccontare/sponsorizzare troppo i propri viaggi sui social media, perché questo può creare malessere in chi non può partire, anche se nessuno ci pensa mai. Certo, raccontare un viaggio può essere bello, ma non si devono mai dimenticare le possibili emozioni e reazioni di chi guarda. E’ una forma di delicatezza, rispetto per l’altro.

Nell’attesa che la politica si renda finalmente conto – ma non accadrà mai, i soldi sono pochi e servono per armi e inutili infrastrutture – di quanto ansiogeno e faticoso sia il tema vacanze per una famiglia pure non povera. Oggi, nel 2025, nel nostro sviluppatissimo paese.

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Il Fatto Quotidiano

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