Sei riflessioni dopo il fallimento del referendum. Una su tutte: riportiamo il lavoro al centro
- Postato il 11 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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1. Dietro l’astensione c’è la passivizzazione di massa, né La Russa né un popolo bue
Una maggioranza di astenuti è, sempre più, la cifra delle elezioni. Credere che sia frutto degli appelli delle destre ad andare al mare significherebbe sopravvalutare la capacità attrattiva degli appelli di La Russa e soci.
L’astensionismo ha una causa profonda nella passivizzazione di massa, caratteristica della nostra epoca. Frutto del neoliberismo abbracciato da tutti: destra, centro e sinistra. La depoliticizzazione della società è la premessa per la bassa partecipazione, dentro e fuori le urne.
Invece la spiegazione che più corre in queste ore, da parte di chi a votare ci è andato, suona più o meno così: “Abbiamo perso perché il popolo è rozzo, bue e ignorante, mica come noi illuminati! Che ora non si azzardi a piangere quando ci saranno licenziamenti, morti sul lavoro, più precarietà”.
2. Lavoratori vs. strapotere imprenditoriale o sinistra vs. destra?
Pur essendo un referendum incentrato sul lavoro, il centrosinistra ha preferito fare appello alla contrapposizione sinistra vs. destra. Il lavoro è la contraddizione universale per eccellenza, eppure si è fatto appello più al voto degli elettori di sinistra per dare una spallata al Governo Meloni, che a un voto di lavoratori e lavoratrici per dare una spallata allo strapotere imprenditoriale che subiscono quotidianamente sui posti di lavoro.
Sui temi del lavoro, come dimostra anche il caso del salario minimo, c’è una possibile maggioranza di classe da poter costruire. L’analisi dei flussi di voto dell’Istituto Cattaneo sul primo quesito referendario (quello su Jobs Act e licenziamenti) evidenzia che perfino a questo referendum tra i pochi elettori delle destre recatisi alle urne, una parte non trascurabile ha votato “sì”.
Il soggetto da costruire e da ri-articolare non è la “sinistra” (o, peggio, il “centrosinistra”), ma la classe lavoratrice. Anche a dispetto di chi crede che la chiave stia nell’assoldare qualche influencer in più.
3. Un referendum sul lavoro in un Paese in cui il lavoro è finito a Chi l’ha visto?
Il lavoro continua a essere tra le principali preoccupazioni della maggioranza della gente comune. Da tempo però non produce più identità né soggettivazione. Frutto anche di una delle rimozioni più gravi dei nostri tempi: il lavoro è stato fatto sparire dalla scena.
Portarlo in cima all’agenda politica e mediatica del Paese è assoluta priorità per darsi la possibilità della trasformazione. Senza potere mediatico, rimane solo una strada: la costruzione di attivazione muovendo da posti di lavoro, scuole, università, territori, reti sociali. Non nel tempo ristretto di una campagna elettorale, ma ogni maledetto giorno. E riattivando uno strumento sempre bistrattato, eppure motore della società: il conflitto (alla faccia dei sindacati agenzie di servizi). Le destre lo temono al punto da cercare di ingabbiarlo col nuovo dl Sicurezza, oggi purtroppo legge dello Stato.
4. “Quando perdi moralmente, non ti rialzi”
Li abbiamo visti indignarsi per gli appelli al mare delle destre. Dimenticando che, solo per citare l’ultimo caso, nel 2016 era stato addirittura il santino Napolitano ad invitare a starsene a casa in occasione del referendum sulle trivelle, il cui fallimento fu salutato dall’allora leader del Pd Renzi con un “ciaone”.
Li abbiamo visti sostenere un referendum che avrebbe cancellato quattro norme volute dieci anni da loro stessi. La gente non crede alle conversioni sulla via di Damasco. Quelle lasciamole ai santi.
Il Pd è stato il principale attore del peggioramento delle vite di lavoratori e lavoratrici negli ultimi dieci anni. Sul punto ha la stessa credibilità di Tyler Durden quando arriviamo alla fine di Fight Club. E come dice l’ex vicepresidente della Bolivia, Álvaro García Linera, “puoi perdere elezioni, puoi perdere militarmente, puoi perdere la vita, ma continuano vivi i tuoi principi e la tua credibilità. Quando perdi la morale, non ti rialzi, sarà un’altra generazione che si rialzerà”.
5. Rete4, decreti sicurezza e taxi del mare: l’egemonia dell’ultradestra nell’urna
Il 35% di chi è andato a votare ha gettato nell’urna un deciso “no” alla riduzione a 5 anni del tempo necessario a una persona straniera che vive e lavora in Italia per ottenere la cittadinanza. Nelle grandi città, tra gli elettori del Pd la percentuale è del 15-20%. Tra quelli del M5S addirittura la maggioranza (uniche eccezioni: Napoli e Palermo).
È il frutto della paziente costruzione di senso comune da parte delle destre. A partire dal sapiente utilizzo del potere mediatico, Rete4 in primis. Il risultato, però, non è solo segno della penetrazione della propaganda dell’ultradestra, ma anche della rinuncia alla battaglia delle idee da parte di coloro che dovrebbero essere opposizione. Minniti con i suoi decreti e Di Maio con i suoi “taxi del mare” (le Ong) non sono capitati per caso.
C’è qualcuno pronto a imbracciare la battaglia per costruire invece un senso comune in cui i lavoratori e le lavoratrici straniere non sono concorrenti, minaccia, nemici (e nemmeno poveri esserini per i quali provare pietà e verso cui praticare la carità), bensì alleati, parte del nostro stesso fronte?
6. Un progetto di trasformazione è ambizione più grande che scalzare Giorgia Meloni da Palazzo Chigi
Sono forse sorprese? No. Le urne, tutt’al più, ci restituiscono la profondità di fenomeni e tendenze che già conosciamo. Non serve a nulla sbraitare, deprimersi o piangere. Oggi, invece, dobbiamo capire che fare per poter scrivere pagine nuove.
Combattere il blocco di potere esistente, che travalica le distinzioni destra/sinistra; costruire un blocco popolare, mettendo al centro quel lavoro che chi comanda fa sparire di continuo. Un blocco popolare di cui è parte la componente migrante della classe lavoratrice. Il tempo per sviluppare quest’orizzonte non è quello di una tornata elettorale. Il referendum ha evidenziato tendenze di lungo periodo: per sovvertirle il tempo non è quello di uno swipe sul cellulare.
È il tempo della paziente costruzione, della mobilitazione, del radicamento profondo. Non lo si fa sotto elezioni, ma tutti i giorni. Mirando a trasformare la società, non semplicemente a scalzare Meloni da Palazzo Chigi.
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