Segnalazioni ‘a sofferenza’: quando la banca sbaglia, la legge tutela chi reagisce
- Postato il 18 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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C’è una leggerezza che, nel mondo bancario, finisce per assumere i contorni della prepotenza. È la leggerezza con cui alcuni istituti di credito — forti della propria posizione e spesso deboli di giudizio — brandiscono la minaccia della segnalazione a sofferenza contro imprese o persone fisiche, senza aver prima compiuto una valutazione complessiva delle reali condizioni economiche e finanziarie del cliente. Un’operazione che, anziché tutelare il sistema, mina alla base il principio di correttezza e può distruggere la reputazione e la sopravvivenza economica di chi viene colpito.
La giurisprudenza ha da tempo chiarito che la segnalazione a sofferenza non è un automatismo. Prima di procedere, la banca deve accertare che il soggetto versi in uno stato di persistente instabilità patrimoniale e finanziaria, tale da rendere ragionevolmente improbabile il recupero del credito. Non può dunque bastare un semplice ritardo nel pagamento, un inadempimento momentaneo o una situazione di tensione finanziaria passeggera per giustificare una misura tanto invasiva e potenzialmente distruttiva per la reputazione e la continuità aziendale del cliente.
Non può ritenersi lecita, inoltre, la segnalazione quando il debitore abbia allegato una giustificazione adeguata all’inadempimento (ad esempio una richiesta di moratoria accompagnata da un’analisi economica che evidenzi uno stato di temporanea difficoltà) o abbia contestato il credito in maniera non manifestamente infondata. In questi casi, la segnalazione diventa un abuso di potere informativo, un atto che esce dal perimetro della buona fede contrattuale e della corretta prassi bancaria. Segnalare qualcuno come “sofferente” senza che vi sia un reale e persistente stato di insolvenza equivale, di fatto, a comprometterne la credibilità finanziaria, con conseguenze che si riflettono sul piano personale, professionale e sociale.
A ricordarlo con chiarezza è una recente ordinanza del Tribunale di Napoli (1° luglio 2024), che ha disposto la cancellazione immediata della segnalazione a sofferenza effettuata da una banca e confermata dalla società cessionaria, ritenendola illegittima.
Nel caso esaminato, il cliente aveva contestato il credito, denunciando addebiti illegittimi per interessi e anatocismo. La banca, invece di sospendere la segnalazione o rispondere alle contestazioni, aveva chiuso il conto, ceduto il credito e fatto inserire il nominativo nella Centrale dei Rischi come “sofferente”. Il giudice ha ritenuto il comportamento gravemente scorretto, precisando che la “sofferenza” non coincide con un semplice inadempimento, ma presuppone una condizione di persistente e grave difficoltà patrimoniale e finanziaria, tale da rendere improbabile il recupero del credito.
Il Tribunale partenopeo ha chiarito che la banca — e ancor più il cessionario del credito — non può limitarsi a recepire la precedente valutazione, ma deve fare (o rifare) integralmente l’istruttoria sulla posizione debitoria, verificando la sussistenza attuale dei presupposti di sofferenza. Sancisce, pertanto, un ulteriore principio cardine. Non basta, cioè, ereditare un credito e proseguire meccanicamente con la segnalazione: l’obbligo di istruttoria si rinnova, perché cambia il soggetto titolare del credito e, spesso, mutano anche le condizioni patrimoniali del debitore.
Il giudice napoletano ha inoltre comminato una penalità di mora di 300 euro al giorno, ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c., per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine di cancellazione, decorsi trenta giorni dal provvedimento. Una misura esemplare, che ribadisce come la gestione dell’informazione creditizia non sia un ambito di discrezionalità illimitata, ma un terreno regolato da principi di prudenza, trasparenza e proporzionalità.
La segnalazione a sofferenza, infatti, non è — né può essere — un automatismo. È un atto grave, che incide sulla reputazione economica e sulla capacità di credito di una persona o di un’impresa.
La giurisprudenza consolidata, a partire da Cassazione e ABF, impone che la banca accerti preventivamente uno stato di insolvenza effettivo e non temporaneo, e valuti l’esistenza di giustificazioni o contestazioni non manifestamente infondate.
In mancanza di questi presupposti, la segnalazione diventa illegittima e dannosa, perché travolge diritti e dignità di chi, magari, sta affrontando un momento di tensione finanziaria o ha sollevato questioni fondate sul proprio rapporto bancario.
Ecco perché oggi è fondamentale che chi si ritrova vittima di una segnalazione arbitraria non resti in silenzio. Le decisioni dei tribunali dimostrano che la tutela giurisdizionale è possibile, concreta e sempre più efficace.
Chi subisce una segnalazione illegittima ha il diritto — e, in un certo senso, il dovere civile — di agire in giudizio per ottenere non solo la cancellazione del proprio nominativo, ma anche il risarcimento del danno reputazionale e patrimoniale subito.
L’abuso della segnalazione non è solo un errore tecnico, ma una distorsione etica del potere bancario. Per questo, decisioni come quella del Tribunale di Napoli rappresentano un segnale forte: il diritto al credito non può trasformarsi in un’arma di intimidazione, e la fiducia nel sistema passa anche dalla capacità di sanzionare chi dimentica che dietro ogni “sofferenza” c’è una persona, non un numero.
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