Salario minimo senza cifra: peccato che la politica si misuri sulle buste paga e non sui comunicati
- Postato il 7 ottobre 2025
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di Giuseppe Pignataro*
Il Senato ha scelto di procedere con una delega: niente soglia oraria in legge, ma principi e vincoli per i decreti che dovranno fissare i ‘trattamenti minimi’ agganciati ai contratti maggiormente applicati. In sei mesi si gioca la differenza tra tecnica e giustizia.
Il salario è la grammatica del lavoro: decide chi può dire che cosa nel mercato. La delega S.957 è ora legge: con 78 sì e 52 no il Senato ha dato il via libera definitivo. Ma quella approvata non è una cifra; è un metodo. L’articolo 1 incarica l’esecutivo di adottare ‘uno o più decreti legislativi’ per garantire retribuzioni proporzionate e sufficienti (art. 36 Cost.), contrastare il lavoro sottopagato e razionalizzare la giungla contrattuale.
Il cuore è una definizione operativa: individuare, per ciascuna categoria, i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (Ccnl) ‘maggiormente applicati’ (per numero di imprese e dipendenti) e fare del trattamento economico complessivo minimo di quei contratti la condizione economica minima per tutti i lavoratori della categoria.
La delega non si ferma qui: negli appalti obbliga appaltatori e subappaltatori a riconoscere minimi non inferiori a quelli del Ccnl maggiormente applicato nel settore, ed estende i trattamenti minimi ai lavoratori non coperti da contrattazione, applicando il contratto ‘più affine’. È un tentativo di chiudere il rubinetto ai contratti pirata e al dumping. Ma, come insegna Rawls, le regole sono giuste quando reggono alla prova del velo d’ignoranza: qui la prova si chiama attuazione.
Cosa non c’è? Nessun ‘9 € l’ora’ scolpito in legge: la scelta del numero viene spostata nei decreti e, di fatto, nei contratti leader del settore. È una scommessa sulla rappresentatività – tema antico del diritto del lavoro italiano, dalla mai attuata registrazione ex art. 39 Cost. – e sull’efficienza dei controlli. Nel frattempo, l’Europa offre un binario: la Direttiva Ue 2022/2041 chiede criteri di adeguatezza oggettivi (mediane settoriali, potere d’acquisto, produttività) e copertura ampia della contrattazione. Un’Italia senza minimo legale può stare in regola solo se costruisce trasparenza e copertura.
Il contesto non ammette ritardi: circa un lavoratore su dieci è working poor secondo Eurostat. La delega promette di ‘contrastare il sottopagato’, ma la bussola sarà il dato misurabile: definire un archivio pubblico dei Ccnl ‘maggiormente applicati’ con criteri di rappresentatività, algoritmi di adeguatezza dei minimi (ad esempio ancoraggi a percentili retributivi e costo della vita territoriale) e un meccanismo d’aggiornamento prevedibile. Senza sanzioni effettive – negli appalti e nelle filiere – il nuovo perimetro resta carta.
Qui l’economia incontra la filosofia politica. Arendt ci ricorda che lo spazio pubblico nasce quando appariamo gli uni agli altri: un salario ‘equo’ è visibile quando comparabile; Sen ci invita a guardare alle capabilities: non solo ‘quanto prendi’, ma che cosa puoi fare con ciò che prendi, dove vivi e quanto costa la vita. Tradotto: un minimo senza trasparenza e controlli è un’ombra, un principio che non diventa azione.
Tre nodi che i decreti devono sciogliere subito:
1. definire i Ccnl leader con dati (imprese e addetti firmatari, copertura reale, vigilanza Inl);
2. costruire indicatori di adeguatezza replicabili (mediana contrattuale, produttività, inflazione, differenziali territoriali di prezzo);
3. rendere automatismi e sanzioni parte integrante delle gare e dei subappalti (responsabilità solidale, interdittive a chi viola). Questo sarebbe il modo più corretto di intendere il minimo salariale: senza slogan, ma con regole che funzionano.
La legge può diventare una promessa. Purtroppo però se i decreti dovessero rimanere formule vaghe, la promessa si dissolverà nel lessico. Come sempre, la politica si misura non sui comunicati, ma sulle buste paga.
*Professore Associato di Politica Economica – Università di Bologna
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