Riscaldamento globale, l’Onu chiede cambi drastici sui gas serra per evitare la catastrofe: “Servono subito misure senza precedenti”

  • Postato il 4 novembre 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il riscaldamento globale che si prevede di raggiungere entro questo secolo diminuisce, ma così poco da lasciare il pianeta diretto verso una grave escalation di rischi e danni climatici. Le temperature globali dovrebbero raggiungere tra i 2,3°C e i 2,5 °C (lo scorso anno le previsioni erano di 2,6-2,8 °C) anche con l’implementazione dei Contributi determinati a livello nazionale (Ndc), mentre le sole politiche attuali porterebbero a un riscaldamento fino a 2,8 °C. Lo scorso anno la previsione era di 3,1 °C e dieci anni fa, al momento dell’adozione dell’Accordo di Parigi, era di poco inferiore ai 4 °C. Nel suo Emission Gap Report 2025, però, pubblicato a pochi giorni dall’avvio della Cop 30 del Brasile, l’Unep (il Programma delle Nazioni unite per l’Ambiente) avverte: il lieve miglioramento è dovuto per due terzi alle proiezioni politiche e ai nuovi Ndc, ma anche agli aggiornamenti nella metodologia di calcolo (per circa 0,1 °C) e, spada di Damocle, non tiene conto dell’imminente ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, previsto a gennaio 2026 (che annullerà la riduzione di 0,1 °C). Morale: i Nuovi Contributi determinati a livello nazionale fanno fare solo un piccolo passo avanti. A fronte di una crescita delle emissioni di gas serra del 2,3% che porta le emissioni del 2024 a 57,7 gigatonnellate di CO2, solo 60 Paesi (che coprono il 63% delle emissioni), hanno presentato o annunciato nuovi Ndc con target di riduzione al 2035 entro il 30 settembre 2025. Meno di un terzo delle Parti dell’Accordo di Parigi. Le nazioni sono ancora lontane dal raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 °C o, ancora più arduo, al di sotto di 1,5 °C. La soglia è stata superata per la prima volta quest’anno, ma come media annuale, mentre l’Accordo di Parigi si riferisce a una media ventennale. Per allinearsi a questi obiettivi sono necessarie, entro il 2035, riduzioni delle emissioni annue del 35% (per restare sotto i 2°C) e del 55% (per restare sotto 1,5°C), rispetto ai livelli del 2019. E l’unico modo per riuscirci è cambiare il passo drasticamente.

Nel prossimo decennio si supererà la soglia di 1,5°C

Secondo le stime dell’Unep, la piena attuazione di tutti gli Ndc, incondizionati e condizionati (quelli che richiedono un supporto esterno) porterebbe comunque a un riscaldamento fino a 2,3°C, mentre con i soli contributi nazionali incondizionati si arriverà a 2,5°C. I nuovi Ndc hanno un effetto limitato sulla riduzione del gap. “Le nazioni hanno tentato tre volte di mantenere le promesse fatte nell’ambito dell’Accordo di Parigi e ogni volta hanno mancato l’obiettivo” commenta Inger Andersen, direttore esecutivo dell’Unep. E spiega: “Sebbene i piani nazionali per il clima abbiano prodotto alcuni progressi, la velocità non è stata sufficiente, motivo per cui abbiamo ancora bisogno di misure senza precedenti e tagli alle emissioni in un arco di tempo sempre più ristretto, in un contesto geopolitico sempre più impegnativo”. Di fatto, sebbene gli scenari mostrino che limitare il riscaldamento a 1,5 °C entro il 2100 resta tecnicamente possibile, proprio l’entità di questi tagli, il breve tempo a disposizione per realizzarli e un clima politico difficile, suggerisce che il superamento della soglia di 1,5 °C si verificherà, molto probabilmente entro il prossimo decennio. Il punto, quindi, è limitare questo superamento attraverso riduzioni più rapide e consistenti delle emissioni di gas serra per minimizzare rischi e i danni climatici e cercare di invertire la rotta, ritornando a 1,5 °C entro il 2100. “Ogni frazione di grado evitata – sottolinea l’Unep – significa minori perdite per le persone e gli ecosistemi, minori costi e minore dipendenza da tecniche di rimozione dell’anidride carbonica costose e incerte”. Ogni anno di inazione rende il percorso più ripido, più costoso e più dirompente.

Anno da record per le emissioni globali di gas serra (come a inizio secolo)

Nel 2024 le emissioni globali di gas serra hanno raggiunto 57,7 gigatonnellate di Co2 equivalente (+2,3% rispetto al 2023). È più di quattro volte il tasso di crescita medio annuo del decennio scorso (0,6%) e paragonabile alla crescita delle emissioni degli anni 2000 (in media del 2,2% all’anno). L’aumento si sta verificando in tutti i principali settori e in tutte le categorie di gas serra. Nonostante il ruolo chiave dei combustibili fossili, deforestazione e cambiamento di uso del suolo sono decisivi. Le emissioni globali di anidride carbonica derivanti dall’uso del suolo, dal cambiamento di uso del suolo e dalla silvicoltura (Lulucf) sono aumentate del 21% nel 2024 (una situazione probabilmente aggravata dalle condizioni climatiche) e sono state responsabili del 53% dell’aumento delle emissioni globali di gas serra, mentre l’anidride carbonica fossile (aumentata dell’1,1%) ne è stata responsabile per il 36%.

Tra i sei maggiori emettitori, l’Ue è l’unica a ridurre la sua quota

Le emissioni di gas serra dei membri del G20, esclusa l’Unione Africana, rappresentano il 77% delle emissioni globali e sono aumentate dello 0,7% nel 2024. Ma hanno registrato un aumento significativo delle emissioni anche molti Paesi al di fuori del G20. Tra i sei maggiori emettitori di gas serra, l’Unione Europea è l’unica a ridurre le emissioni nel 2024. Il più alto incremento assoluto delle emissioni totali di gas serra, escluse le attività Lulucf, è stato osservato in India (con i suoi 1,46 miliardi di abitanti), Cina e Russia, mentre l’Indonesia ha registrato la crescita relativa più rapida. Non si tratta, però, della classifica delle emissioni pro capite più alte, né di quelle storiche. Le attuali proiezioni politiche aggiornate per la Cina, inoltre, indicano un picco delle emissioni intorno al 2025, seguito per la prima volta da una riduzione di 0,3-1,4 gigatonnellate di Co2 equivalente entro il 2030, dovuta principalmente alla crescita della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, che supera quella complessiva della domanda di energia. Al contrario, le proiezioni sulle emissioni per il 2030 per gli Usa riportano un aumento di una gigatonnellata di Co2 equivalente, in gran parte a causa di recenti inversioni di tendenza.

Gli Ndc dei paesi G20 e i tagli alle emissioni (con e senza Usa)

Gli Ndc riflettono progressi disomogenei e quelli nuovi hanno fatto ben poco per accelerarli. È probabile che, con le politiche esistenti, sette membri del G20 raggiungano i loro obiettivi Ndc incondizionati entro il 2030, mentre si stima che nove membri del G20 siano fuori strada o incerti nel raggiungere i loro target. Solo sette membri del G20 hanno presentato nuovi Ndc con obiettivi di mitigazione per il 2035 (Australia, Brasile, Canada, Giappone, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti), mentre tre membri hanno annunciato tali obiettivi (Cina, Unione Europea e Turchia). Nessuno dei membri del G20 ha rafforzato i propri obiettivi per il 2030. Seguendo le politiche attuali, l’Unep stima che questi Paesi avrebbero ridotto le proprio emissioni al 2035, rispetto ai livelli del 2030, di circa 4 gigatonnellate di CO2 equivalente ma, senza l’apporto degli Stati Uniti la riduzione si fermerà a circa 2 gigatonnellate. La piena attuazione dei nuovi Ndc, invece, avrebbe potuto portare, secondo l’Unep, le emissioni di gas serra nel 2035 a circa 3,6 gigatonnellate di CO2 equivalente al di sotto dei livelli del 2030 che, senza l’Ndc degli Usa sarà di 2,7-2,8 gigatonnellate di CO2 equivalente. Sebbene il 73% dei nuovi Ndc includa obiettivi ad hoc, non è chiaro se saranno sufficienti per triplicare l’energia rinnovabile entro il 2030. Gli impegni non raggiungono nemmeno il target di raddoppiare il tasso di miglioramento (bloccato negli ultimi due anni) dell’efficienza energetica entro il 2030. Solo il 62% dei nuovi Ndc fissa un obiettivo di riduzione dell’uso di combustibili fossili nel mix elettrico, mentre appena il 29% ne fissa uno di riduzione graduale del carbone. Ad oggi, invece, nessun Ndc ha fissato obiettivi per ridurre la produzione di petrolio e gas o eliminare gradualmente gli inefficienti sussidi ai combustibili fossili.

Gli scenari al 2030 e al 2035 per non superare le soglie di 1,5°C e 2°C

Nel report si delineano alcuni scenari. Una premessa è d’obbligo: tutte le stime sulle emissioni aumenteranno di 2 gigatonnellate di Co2 equivalente senza l’Ndc degli Stati Uniti d’America. Al 2030, con le attuali politiche si arriverebbe a 58 gigatonnellate di anidride carbonica equivalente globali all’anno, 17 gigatonnellate in più rispetto a ciò che serve per restare sotto i 2 gradi (e 25 in più per restare sotto 1,5 gradi). Rispettando gli impegni degli Ndc (sia incondizionati sia condizionati) si scende a 51 gigatonnellate circa, con un gap emissivo di 10 gigatonnellate per restare sotto i 2°C (e di 18 per non superare la soglia di 1,5°C). Le emissioni del 2030, invece, dovrebbero diminuire del 25% rispetto ai livelli del 2019 (per non superare la soglia di 2 °C) e del 40% (per quella di 1,5 °C). Ma restano solo cinque anni per raggiungere questo obiettivo. Nello scenario al 2035, invece, con le politiche attuali si arriva a 54 gigatonnellate, con un gap emissivo di 19 gigatonnellate per restare sotto i 2°C (e di 30 per 1,5°C). Con la piena implementazione degli Ndc (incondizionati e condizionati) si scenderebbe a una media di 46 gigatonnellate all’anno. Mancherebbe un taglio di 11 gigatonnellate (per la soglia di 2°C) e di 22 gigatonnellate (per quella di 1,5°C. La piena attuazione degli Ndc incondizionati e condizionati, ridurrebbe le emissioni al 2035 rispettivamente di circa il 12% e il 15%, rispetto ai livelli del 2019, sebbene il ritiro degli Stati Uniti modificherà queste cifre. Ma questi tagli (promessi) sono di gran lunga inferiori alle riduzioni del 35% e del 55% necessarie nel 2035 per allinearsi rispettivamente ai percorsi di 2°C e 1,5°C. Il rapporto esamina, quindi, uno scenario di “azione di mitigazione rapida a partire dal 2025”, progettato per limitare il superamento a circa 0,3 °C, con una probabilità del 66%, e tornare a 1,5 °C entro il 2100. In questo scenario, le emissioni del 2030 dovrebbero diminuire del 26% e quelle del 2035 del 46% rispetto ai livelli del 2019. Nel report si delinea uno scenario al 2050, anche se le incognite aumentano. L’ipotesi più ottimistica, che combina la piena attuazione degli Ndc condizionali e tutti gli impegni netti a zero emissioni, porterebbe le emissioni a 19 gigatonnellate di anidride carbonica equivalente all’anno, abbassando le proiezioni di riscaldamento a 1,9°C, comunque invariate rispetto allo scorso anno.

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