Ripensare i confini. Ico Migliore e Mara Servetto spiegano il Museo di Schengen in Lussemburgo
- Postato il 15 settembre 2025
- Architettura
- Di Artribune
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Esiste in Lussemburgo un piccolo comune sorto sulle rive della Mosella, fiume che bagna anche Francia e Germania. Per la maggior parte dei cittadini europei la sua notorietà è legata agli effetti generati, quarant’anni fa, dalla firma dell’accordo (e in seguito della convenzione) che consente a oltre 450 milioni di persone di circolare liberamente tra i paesi membri senza sottoporsi ai controlli di frontiera. Teatro tra il 1985 e il 1990 di uno dei più alti traguardi raggiunti dell’Unione Europea, dallo scorso giugno Schengen accoglie la rinnovata sede museale in cui quella cruciale scelta politica diventa racconto. Prendendo le distanze da intenti celebrativi, la narrazione proposta nel nuovo Museo di Schengen svincola il concetto di confine da letture stereotipate e interpretazioni negative. Resta tuttavia aderente alla realtà di dati e fatti esito del Trattato, senza dunque nascondere conseguenze e livelli di difficoltà. Ne abbiamo parlato con i fondatori di Migliore+Servetto, lo studio italiano che vincendo un concorso in due fasi ha realizzato il progetto di allestimento permanente e di multimedia design (in collaborazione con Karmachina) della sede museale.
Ico Migliore e Mara Servetto e il progetto del Museo di Schengen
Dopo il restyling, cosa vuole essere il nuovo Museo di Schengen?
Il nuovo allestimento può essere considerato un progetto integrato al restauro conservativo della preesistente struttura (opera di Forma Architects). Abbiamo lavoro in un immobile di circa 400 metri quadrati; siamo intervenuti anche nelle scelte di finiture interne, materiali, colori e nella reception. È una sede che si allontana dalla concezione museale ancora prevalente in Italia: dispone sì di una piccola collezione, ma il proposito non è di natura conservativa. Si vuole soprattutto aumentare la consapevolezza attraverso la comprensione del passato. E innescare una proiezione di futuro.
Ovvero?
Si è scelto di trasformare questo luogo in un attivatore di relazioni e contenuti. Con i curatori siamo partiti dai valori che Schengen esprime, in primis da quello di confine, e da ciò che esso comporta davvero, in termini di vantaggi, svantaggi, problematiche. Il rinnovato Battello Prinzessin Marie-Astrid Europa – il luogo in cui, proprio sulla Mosella, nel 1985 venne firmato il Trattato – è parte del percorso espositivo e di quel “sistema di condivisione culturale” sul tema del confine che il museo vuole promuovere.
Nel percorso visitatori si misurano con 19 installazioni. Cosa dobbiamo aspettarci?
Intanto il museo prende in esame il concetto di confine provando ad azzerarlo fisicamente, oltre a indagarlo dai punti di vista storico, geografico, sociale. Intorno a un nucleo emozionale centrale, abbiamo incrociato sistemi sia analogici che digitali: c’è la possibilità di toccare, interagire con le mani, sfogliare, accedere ad approfondimenti anche in modo multipercettivo, con alcuni contributi acustici. Muovendosi attorno al cosiddetto The Cube, si passa dal capire com’era la vita nell’Europa nei confini, ovvero prima di Schengen, al comprendere cos’è successo dopo la loro apertura. Si compie uno spostamento nello spazio museale per cogliere i risultati generati dal libero movimento di persone e merci.
E cosa succede quando si accede al Cube?
Si tratta di un grande spazio allegorico: prima lo si percepisce, ci si interagisce. Poi si entra ed è come valicare il confine. Qui sono state raggruppate tutte le bandiere degli stati europei, che insieme formano il “cubo delle bandiere europee”. È un ambiente caratterizzato da una luce che si muove lentamente, il cui effetto dinamico è amplificato dagli specchi. Una serie di ombre di persone passano in continuazione all’interno del cubo stesso e così simuliamo il continuo movimento delle persone. La bandiera, fatta da più bandiere, vuole restituire l’idea di una collettività composta da tante diversità, tutte importanti.
Lancia un messaggio chiaro.
Racchiude tutto il valore del museo: ognuno di noi mantiene la sua diversità. Grandi diversità apportano grande qualità. Un tema essenziale oggi. In questo momento ci sono 57 guerre nel mondo, con circa 150 milioni di persone obbligate a spostarsi da un paese a un altro per ragioni climatiche, a causa di guerre, per problemi di inaccessibilità ai loro territori. Crediamo che l’architettura non sia fatta per essere guardata o solo abitata: deve contribuire a trasformare i comportamenti delle persone. Il mondo si salva attraverso tanti piccoli interventi diffusi che, complessivamente intesi, iniziano a far pensare in modo diverso.







L’allestimento del Museo di Schengen tra analogico e digitale
Con Schengen possiamo girare in Europa senza passaporto. Ma nel museo lo avete “ripristinato”.
Sì, c’è una sorta di “lascia passare di Schengen”. È una delle modalità con cui, insieme ai curatori, abbiamo fatto in modo che l’esperienza di visita divenisse il più coinvolgente possibile, oltre ad accrescere il senso critico personale. Non puntiamo a un intrattenimento. In questa ottica fondamentale è il ruolo attribuito alla grafica, che diviene strumento di unione e collegamento tra lo spazio fisico, quello percettivo dell’ambiente e degli oggetti che abbiamo esposto (come per esempio le foto delle dogane o le divise dei doganieri), e lo spazio digitale. C’è una grande narrazione composta da immagini, video, interazioni che teniamo insieme proprio grazie alla grafica. E ogni visitatore può entrare nella memoria del museo.
In quale modo?
Il museo “ti riconosce”. All’inizio, volendo, si può dire il proprio nome e il paese di provenienza, entrando così nella memoria del museo insieme a tutti colori che sono già passati. Con questa registrazione ci si può mettere in dialogo con il museo, che tra l’altro “parla” tre diverse lingue, si può interagire e approfondire nelle varie postazioni.
Il concetto di museo itinerante nella pratica di Migliore + Servetto
La presenza del battello, come parte del percorso di visita, genera una certa curiosità.
Infatti è insolita come sede. Proprio di fronte al museo, si sta ultimano un nuovo molo nel quale è già ormeggiato il battello. Dato che le acque della Mosella lambiscono Lussemburgo, Francia e Germania, nel 1985 si scelse questo luogo di incrocio geografico e dal valore simbolico per la firma. La Mosella è un fiume navigabile, con rotte commerciali; fu teatro di alcuni episodi bellici durante la Seconda guerra mondiale. Oltre a essere stata restaurata, ora la barca è diventata un museo itinerante e pensiamo che possa spostarsi sulla Mosella, portare in giro le storie raccolte al suo interno e attraccare in vari luoghi. È un’idea in linea con una visione che portiamo avanti da alcuni anni: quella degli spazi museali capaci di spostarsi fisicamente, di raggiungere il pubblico anziché il contrario. Sull’ “itineranza museale” e sul concetto di museo itinerante stiamo lavorando anche all’università e abbiamo ricevuto un premio alla Biennale dello Stretto.
Di cosa si tratta?
Ispirandoci, concettualmente, al Teatro del Mondo di Aldo Rossi, per la Biennale dello Stretto abbiamo sviluppato Texturia Mari – Metaprogetto per un museo itinerante e galleggiante a forma di nassa. È una grande struttura galleggiante, una sorta di nido galleggiante, capace di viaggiare per il Mediterraneo. Lungo l’itinerario raccoglie e mostra il nostro patrimonio immateriale: storie di persone, culture, folklore. Un grande teatro in giro per le acque d’Europa. Con Texturia Mari e con dieci progetti della serie Floating Nests (elaborati con gli studenti del Politecnico di Milano), partecipiamo in questi mesi alla Biennale di Venezia, all’interno del Padiglione Italia, e prendiamo parte alla Gwangju Design Biennale 2025 (in corso fino al 2 novembre prossimo).
Valentina Silvestrini
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