Ricette e riti del Natale, le prime tre De.Co. a Pietra Ligure: torta di zucca, torrone di Ranzi e Confuoco

  • Postato il 18 dicembre 2025
  • 0 Copertina
  • Di Il Vostro Giornale
  • 3 Visualizzazioni
deco comunali pietra

Con le prime tre De.Co., denominazioni comunali di prodotti tipici e marchio di tutela per eccellenze di nicchia – geniale intuizione del visionario Luigi “Gino” Veronelli – Pietra Ligure inizia un viaggio tra antiche ricette e riti di Natale.

Le De.Co., appena approvate dalla commissione comunale, riguardano due ricette natalizie, la torta di zucca (in due versioni, una di Ranzi, più rustica e agricola, l’altra della costa, più gentile e raffinata), il torrone di Ranzi, tipico dolce delle feste invernali, e una festa di origine genovese: il Confuoco.

“Con alle spalle una storia millenaria, fatta di Ligures, Celti, Romani, Pietra Ligure ha una lunga serie di eccellenze enogastronomiche, tradizioni, riti e miti degni di fregiarsi del bollino ufficiale che garantisce la storicità dei prodotti e ne racconta la tradizione in chiave esperienziale. Una città che dimentica le proprie radici rischia di perdere il senso del futuro” commentano il Sindaco di Pietra Ligure Luigi De Vincenzi e gli Assessori alle attività produttive Cinzia Vianella e al turismo e cultura Daniele Rembado.

“Iniziamo con la torta di zucca, il torrone di Ranzi e il Confuoco. Le De.Co. possono essere un volano di sviluppo territoriale, poiché trasformano l’identità locale in un brand distintivo capace di attrarre un turismo esperienziale di qualità e di generare un impatto economico diretto sulle filiere produttive artigianali e gastronomiche del nostro comune”.

“Cultura non è soltanto progettare ciò che verrà, ma prima di tutto saper leggere criticamente ciò che è stato. Il nostro viaggio alle radici per guardare al futuro inizia da qui: tra antiche ricette e riti di Natale. E allora: “Bun Denâ e palanche nette a tutti” (Buon Natale e soldi puliti a tutti), con “denâ” che deriva da “Deus Natus (est)”, “Dio è nato”: un augurio che conserva ancora oggi la sua forza e attualità” concludono De Vincenzi, Vaianella e Rembado.

deco comunali pietra

La torta di zucca
Verdure, in genere classificate come contorni o protagoniste di zuppe e minestroni, che diventano elemento essenziale di raffinati dolci. Le “trombette”, che in estate si usano come zucchini verdi, a tutti gli effetti frutti ancora acerbi, a fine estate/inizio autunno, a piena maturazione, diventano la zucca “trombetta”, molto lunga e di colore tendente all’arancio. Ed è questa che serve per il dolce pietrese, la Torta di Zucca, tipica delle festività natalizie, ancora oggi preparata da moltissime famiglie e da diversi forni del centro storico. Rientra, probabilmente, nella lunga serie delle “gattafure”, le antiche torte di verdura tipiche della cucina medievale genovese e ligure, e che vede nella Pasqualina la sua massima espressione. Il fatto che sia dolce non deve stupire affatto, perché lo zucchero, tra Medioevo e Rinascimento, è uno dei sapori più ricercati e diffusi, usato anche in abbinamenti che oggi potremmo considerare arditi e quando mancava lo zucchero, vista la stagione, il dolce veniva dato dai cachi, molto zuccherini, e dello stesso colore della zucca. La pasta è quella tipica delle torte liguri, la “pasta matta” (farina tipo 0, acqua, olio e, in questo caso, un goccio di Marsala o di un passito ligure), mentre il ripieno vede la zucca bollita e strizzata (la tradizione pietrese vuole che la zucca, bollita la sera precedente, resti appesa in un sacchetto di cotone per tutta la notte, in modo da perdere l’acqua in eccesso), uvetta, pinoli e zucchero. L’impasto si sistema nella sfoglia, non si copre ma si spalma come fosse una crostata, e si inforna. Il risultato è un dolce semplice, rustico, dal sapore caldo e avvolgente. La versione di Ranzi vede l’aggiunta, nel ripieno, della farina di ceci che ne aumenta la “rusticità”. La versione della Riviera è più ricca, aromatizzata dal rum e dal marsala e dalla mandorla, che le danno un gusto più elegante.

Il torrone di Ranzi
La frutta secca, assieme ai semi, è dalla notte dei secoli alimentazione umana e il miele è il primo dolcificante conosciuto. La frutta secca mescolata a miele è ricetta antichissima, conosciuta da greci, romani, arabi. Grazie al suo potere energetico era utilizzata da atleti e soldati. Per arrivare al torrone, però, bisognerà aspettare diversi secoli e particolari procedimenti chimico-culinari come la tostatura. E se il nome “torrone” deriva probabilmente dal latino torrēre (abbrustolire), in Liguria è conosciuto anche con il nome di cubaite (dolce della cucina bianca delle Alpi Liguri) derivato dall’arabo “qubbaita”. Un dolce che, con qualche variazione, si ritrova in Sicilia, in Calabria, in Campania, ma anche in Spagna e in Nord Africa. E’ probabile che le contaminazioni tra arabi e liguri abbiano portato alla codificazione del “torrone ligure”. Attorno al Mille, infatti, i predoni saraceni occuparono, e tennero per due secoli, la zona del Frassineto, vicino all’odierna Saint Tropez. Da qui si lanciavano in scorrerie verso la Provenza e verso la costa ligure, spingendosi anche nelle zone interne. Scorrerie, certo, ma anche commerci, baratti, contaminazioni che riguardano anche le tecniche di cottura e produzione di cibi e ben presto, forse anche per affrancarsi dalla contaminazione musulmana ma anche perché l’inverno è il periodo di maggior disponibilità di miele e frutta secca, il torrone diventa uno dei dolci simboli del Natale e quello tipico di Ranzi si preparava in tutte le case solo alla vigilia della più grande festa cristiana, quando le famiglie si riunivano intorno alla stufa a legna e, mentre i piccoli aspettavano con trepidazione i regali del Bambin Gesù e gli adulti la S. Messa di mezzanotte, si confezionava questo semplice dolce con la partecipazione di tutti.

Il Confuoco
Le prime notizie del Confeûgo, o Confuoco, a Genova risalgono agli inizi del XIV secolo ma, probabilmente, questa tradizione affonda le radici in tempi ancora più antichi. La cerimonia si svolgeva la vigilia di Natale, che nel Medioevo era l’ultimo giorno dell’anno e il nuovo anno cominciava con la nascita di Gesù Cristo. Il Confuoco era dunque il saluto di “capo d’anno” e simboleggiava l’omaggio del popolo alle più alte cariche dello Stato, con lo scambio solenne di auguri e doni tra gli Abati del Popolo – istituiti nel 1270 come difensori dei diritti dei cittadini contro le prevaricazioni nobiliari, con il compito anche di sancire i trattati e condividere il potere con i nobili e accogliere e onorare, con gli aristocratici, i sovrani che giungevano a Genova – e il Doge, capo della Repubblica. Il significato profondo del Confuoco stava proprio in questo incontro/scambio di auguri fra il popolo e l’autorità costituita. Il dono più significativo era un grande ceppo di alloro, l’oïbȃ, in dialetto, ornato con frutti della terra e nastri rossi e bianchi, che dopo essere stato presentato al popolo e privato degli addobbi, veniva dato alle fiamme in un grande falò e dalle fiamme si ricavavano presagi favorevoli o sfavorevoli e dai tizzoni si traevano auspici di fortuna e prosperità e pezzetti di carbone venivano distribuiti tra la gente. Ancora oggi la cerimonia del Confeûgo si ripete, con modalità moderne ma seguendo l’antico cerimoniale, qualche giorno prima di Natale, in diverse località della Liguria di “influenza” nei secoli addietro genovese, tra cui Pietra Ligure che custodisce questa tradizione fin dal 1385, anno in cui entrò a far parte della Repubblica di Genova, per interrompersi durante la dominazione francese, e riprendere dal 1978 grazie all’Associazione Culturale “Centro Storico Pietrese”. Oggi, la domenica che precede il Natale, la città rivive quell’atmosfera con una rievocazione storica che culmina nello scambio di auguri tra i pietresi e le autorità e l’accensione dell’oïbȃ in Piazza Vecchia (Ciàssa Véggia), con le fiamme che, crepitando, si innalzano verso il cielo come augurio di pace, prosperità e buon raccolto e, come ai tempi degli Abati del Popolo e dei Dogi, se la fiamma è bianca e dritta, la città vivrà un anno fortunato. Il Confuoco non è soltanto una festa folcloristica, è soprattutto un momento d’incontro tra cittadini e istituzioni e un simbolo di dialogo, rispetto reciproco e collaborazione tra comunità e governanti e se prima vi prendevano parte il Doge o il Podestà, oggi sono gli amministratori eletti democraticamente a raccoglierne l’eredità. È anche un richiamo al valore della memoria storica e custode di valori profondamente umani, come la gratitudine e la speranza e ricorda che governare significa servire e che ogni cittadino può contribuire – con piccoli o grandi gesti – alla crescita della propria comunità.

Autore
Il Vostro Giornale

Potrebbero anche piacerti