Riarmo dell’Europa, cinque punti per fare chiarezza. Ma la conclusione è una sola

  • Postato il 9 marzo 2025
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di Stefano De Fazi

In questi giorni, in cui si sta sancendo il riarmo dell’Europa, mi sembra sia il caso di fare chiarezza su alcuni punti su cui ritengo ci sia spesso confusione o approssimazione.

1. Si spende troppo poco in armamenti. Se questo probabilmente può essere affermato per l’Italia, sotto la media europea come percentuale del Pil, di certo non lo può essere per l’Europa nella sua interezza. Basta fare riferimento all’Osservatorio dei Conti Pubblici di Carlo Cottarelli. La Ue, con l’aggiunta dei paesi Nato europei, spende ben 250 miliardi l’anno, corretti per potere d’acquisto, in più rispetto alla Russia. L’aggiunta di altri 800 miliardi appare, in questa ottica, ingiustificata e l’obiettivo di aumentare la competitività degli eserciti europei andrebbe semmai perseguito con la razionalizzazione della spesa e la creazione di centri di controllo comunitari, che prescindono dal totale della spesa annua.

2. L’essere fuori dai vincoli del Patto di Stabilità rende gli aumenti di spesa desiderabili. Come se ciò significasse avere risorse immediate e gratuite. In realtà, sarebbero soldi presi in prestito, che quindi vanno ripagati con interessi negli anni successivi, togliendo risorse da altre esigenze più pressanti per i cittadini comuni. O altrimenti, distogliendole da altri fondi Ue, come quello di coesione e perciò definanziando progetti di tutela ambientale e infrastrutturali nelle regioni più povere.

3. I paesi europei devono armarsi per proteggere le proprie democrazie. In realtà, si produce esattamente l’effetto inverso. Negli ultimi tre anni abbiamo visto aumenti impressionanti degli utili e dei listini azionari conseguiti dai comparti della difesa ed energetico. Questo comporta maggiori risorse per attività di lobbying. Nel 2024, le 10 più grandi aziende del settore degli armamenti hanno speso a Bruxelles circa 6 milioni, con un incremento annuo del 40%.

Quelle del comparto energetico, che dal clima di guerra traggono grossi benefici grazie al rialzo del prezzo dei fossili, ne spendono ancora di più. Inoltre, si creano i presupposti per l’accentuazione del fenomeno delle sliding doors tra incarichi politici e aziendali nel comparto degli armamenti (vedi Crosetto e Cingolani in Italia).

4. Bisogna farlo per contrastare Trump. Ma è lui stesso che lo chiede all’Europa, pienamente consapevole che più della metà di quella spesa andrà a finire nelle casse di società americane. La fine delle relazioni con la Russia ha avvantaggiato gli Usa anche dal punto di vista commerciale. Esemplare è il caso del Gnl venduto a prezzi enormemente più alti rispetto a quelli di cui l’Europa poteva usufruire in precedenza.

L’allarmismo continuo per la paura di una presunta guerra crea anche le condizioni per accettare una maggiore presenza militare americana sul suolo europeo. È iniziata da poco, in Romania, la costruzione di quella che sarà la più grande base Nato/Usa nel continente.

5. Così come ha invaso l’Ucraina, la Russia può invadere anche noi. Mi sembra perfino superfluo far notare come l’attaccare paesi Nato e Ue avrebbe tutt’altre conseguenze per la Russia. Inoltre, raccontare la storia come se iniziasse nel 2022, con Putin che improvvisamente decide di invadere un paese sovrano, è semplicemente fuorviante. La contesa tra blocco occidentale e Russia riguardo l’Ucraina va avanti da circa 35 anni ed entrambi i blocchi hanno deciso di perseguire i propri interessi senza curarsi del conflitto armato che ne sarebbe scaturito.

Al di là di queste considerazioni, la ciliegina sulla torta che si sta materializzando in questi giorni è il fatto di prendere una decisione così impattante sugli anni a venire senza neanche passare per il voto del Parlamento Europeo. Nessuno dei partiti che costituiscono la maggioranza Von der Leyen aveva nel suo programma di aumentare la spesa militare a questi livelli. La fiducia nel processo democratico europeo è destinata a scendere ulteriormente e all’orizzonte non si intravedono scenari in cui questo trend possa cambiare.

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