Rhegium Julii, Pino Bova: «Cultura, cibo del futuro, non bastano le sagre»
- Postato il 2 novembre 2025
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Il Quotidiano del Sud
Rhegium Julii, Pino Bova: «Cultura, cibo del futuro, non bastano le sagre»

Il Rhegium Julii diventa una Fondazione, il presidente Pino Bova spiega perché. «Amarezza e ottimismo». Il 6 e 7 il premio internazionale
«Certe volte, mi sento mortificato» dice il presidente del Rhegium Julii Pino Bova, a pochi giorni dal Premio Internazionale. Poi racconterà perché. Oggi è il caso di annunciare nel mondo delle associazioni culturali calabresi: spesso dalla vita tempestosa, ma di sicuro composte da buona gente che regala il suo tempo a una causa utile.
IL RHEGIUM JULII DIVENTA FONDAZIONE
Piccola premessa: chi scrive è socio pagante e membro della Giuria. Ma qui si fa solamente cronaca: nel cinquantasettesimo anno di vita, il Rhegium diventa una Fondazione e si apre ai finanziamenti privati. Il Circolo resta al pianterreno della scuola media a venti metri dal Castello con il suo bell’archivio, continua a organizzare i suoi cinquanta appuntamenti l’anno fra città e provincia. «Sentivamo l’esigenza di allargare il nostro impegno, rafforzare la nostra identità e soprattutto aprire di più ai giovani».
Pino Bova, vuol dire che è finito il tempo del volontariato?
«Possiamo dire che non basta più: le stesse istituzioni, le imprese devono mostrare una maggiore attenzione alla cultura. Non siamo eruditi saccenti, non stiamo chiusi nei salotti: andiamo nelle scuole e nei circoli sportivi, nei beni confiscati. Viviamo in un mondo disgregato, abbiamo bisogno di visione, interpretazione della realtà. È obbligatorio aiutare i giovani a costruire forme di resistenza a una realtà che li condanna. A partire, a delinquere. Ci fa piacere elencare ogni volta i nomi dei Premi Nobel che sono passati sullo Stretto, ma non basta più.»
Quando lei parla di impegno delle imprese, che cosa intende?
«Le rispondo con due esempi. Il primo: lo Strega è un liquore, ma il Premio ormai lo ha superato in visibilità. Se lei chiede a un passante: che cos’è lo Strega, lui risponderà “un premio Letterario” e non “un superalcolico dall’inconfondibile colore giallo.” Altro esempio, il premio “Campiello”, da sempre una calamita per le forze imprenditoriali del Veneto.»
Qui non siamo nel NordEst: pochi capannoni, e spesso abbandonati.
«Ma le imprese ci sono, ed è anche difficile spiegare perché si siano tenute lontane. In quanto ai capannoni, cultura è anche attenzione al territorio, alla sua devastazione. Ci sono importanti aziende della Calabria che hanno un passato glorioso, lo rivendicano, lo raccontano. Penso a Mangiatorella, ad Amarelli. In qualche modo riescono a migliorare l’anima della loro attività.»
Qui riappare il poeta che è in lei. Quando penso alle aziende, a me vengono in mente le voci: fatturato, occupati, utili. Non ci sono molti libri nei loro scaffali. Come si arriva alla Fondazione?
«Si arriva spiegando loro che la nostra esistenza ha bisogno di “vitamine culturali” che ci fanno crescere meglio e trovare nuove strade umane e professionali. Senza dimenticare che la nostra memoria del lavoro, il “fare” positivo e creativo può e deve lasciare tracce credibili, nuovi punti di riferimento. Nel Sud finora è successo poco, meno che mai nella politica.»
Pino Bova, quando vede i loghi di istituzioni e aziende sulla fiera della salsiccia dispari, sull’Accademia della sangria, che pensa?
«Mi sento mortificato, non riesco a trovare un’altra espressione. Io non ho niente contro la gente che si riempie di cibo, che beve in compagnia: trattasi di nobile espressione umana, piace anche a me. Ma certe volte mi impressionano le cifre, le centinaia di migliaia di euro di finanziamento, appuntamenti che hanno molto a che fare con la propaganda elettorale… Sì, mi intristisce. Noi ospitiamo confronti, dialoghi, studiamo nuovi format, parliamo di poteri dello Stato e diritti umani. Un investimento sul futuro. Quello che ti resta della sagra, con rispetto parlando, è spesso solo un gran mal di testa. Ma si vive leggeri, condannati all’effimero, all’evasione.»
Anche se l’effimero di Renato Nicolini, grande uomo di cultura che Reggio ha conosciuto, era un’altra cosa.
«E infatti ha mischiato il teatro all’università, ha lasciato tracce.»
Lei è ottimista sulla Fondazione?
«Lo sono in generale, e parto da una convinzione. Il rilancio riparte dall’economia. Abbiamo perso qualche passaggio, raccontato male anche il nostro passato: ora rischiamo di diventare una regione di pensionati. I segnali di reazione ci sono, si tratta di trasformarli in leggi e progetti.»
Senza anticipare troppo, come si presenta quest’anno il Premio?
«Il riconoscimento internazionale va a Vito Mancuso, un teologo che sta suscitando un grandissimo interesse all’interno della Chiesa. Uno studioso che mette in difficoltà l’ambiente ecclesiastico, dove alcuni tempi sono vissuti in maniera controversa. Terra una “lectio” all’Università Mediterranea il 6 novembre alle 15,30, verranno anche da fuori regione. Il 7 sera alle 21 al “Cilea” la premiazione. Apriamo le porte alla cultura e a tutto quello che ci migliora. Per la narrativa, la grande occasione di conoscere una figura di successo nata all’improvviso: Mirella Palminteri. E poi Giancarlo Pontiggia, una famiglia che vive per i classici, il professor Fabrizio Mollo….»
E infine Milena Gabanelli e Simona Ravizza, il libro sui guasti della sanità.
«Un premio piantato dentro l’attualità, un tema che i calabresi conoscono bene.»
Il Quotidiano del Sud.
Rhegium Julii, Pino Bova: «Cultura, cibo del futuro, non bastano le sagre»