Premonizioni e metafore del sistema sovietico nella letteratura

  • Postato il 24 agosto 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Se c’è un luogo da cui mi sono sentito fatalmente ingannato non per la vita, ma per la morte, è proprio la metropolitana”.

Il figlio del sottosuolo, di Hamid Ismailov (traduzione di Nadia Cigognini; Utopia Editore), è stato definito da alcuni critici come “uno tra i migliori romanzi russi del ventunesimo secolo”, ma questa straordinaria opera dell’autore uzbeko, secondo me, trascende i confini geografici per affrontare temi universali. Al centro della narrazione vi è Mbobo, un bambino la cui nascita e crescita avvengono negli sfarzosi ma spesso inquietanti corridoi della metropolitana di Mosca.

Figlio di un atleta africano e di una donna siberiana, la sua breve esistenza solitaria coincide con la disintegrazione dell’Unione Sovietica. Questo “regno del sottosuolo”, con i suoi ambienti monumentali e fiabeschi, diventa non solo un rifugio dalla crudeltà e indifferenza del mondo esterno, ma anche una potente metafora del sistema sovietico stesso, un labirinto sotterraneo che ne riflette l’inconscio e la progressiva dissoluzione. Ismailov riesca a creare un’atmosfera unica, miscelando il realismo storico con elementi quasi fiabeschi e surreali.

La metropolitana, descritta con una maestria che fa desiderare di vederla con i propri occhi, si trasforma in un personaggio a sé stante: un luogo di bellezza e prigionia, un labirinto in cui il protagonista cerca un senso in un mondo sempre più frammentato e privo di punti di riferimento. La narrazione è delicata, ma al contempo disturbante, scava nelle crepe della memoria collettiva e riflette sull’eredità di un passato ingombrante. Esplora temi profondi come l’emarginazione, la crisi d’identità e la ricerca di un rifugio in un’epoca di grandi cambiamenti.

Il Figlio del sottosuolo è un’opera densa e stratificata, che offre al lettore un viaggio emozionante e riflessivo attraverso la storia e l’anima di un’epoca. La sua potenza narrativa risiede nella capacità di trasformare un’infanzia solitaria nel cuore di Mosca in una lente attraverso cui osservare la fine di un’era e la perenne ricerca di umanità e senso in un mondo in costante mutamento.

Un mezzogiorno, mentre infuriava una spaventosa tormenta di neve o meglio una bufera che durava dalla sera prima, giunse da noi tutto coperto di neve il miliziano Semen Vorob’ev e ci comunicò la notizia”.

Crudeltà, di Pavel Nilin (prefazione di Antonella Nocera; traduzione a cura della redazione; Edizioni Readerforblind), pubblicato per la prima volta nel 1956 (tra le denunce al culto della personalità di Stalin e l’insurrezione ungherese), è un romanzo che si immerge nelle complessità della transizione post-rivoluzionaria degli anni Venti, e racconta la vita in una remota filiale del Komsomol sovietico, dove viene affermato l’ordine (centralizzato) di combattere il banditismo nella taiga russa. L’autore, grazie a una prosa diretta e incisiva, riesce a dipingere un quadro vivido di un’epoca turbolenta e delle sfide morali che i suoi personaggi devono affrontare, dimostrando una notevole capacità di esplorare la natura umana in situazioni estreme.

Ven’ka, uno dei protagonisti della storia, della Polizia investigativa di Dudari, viene a contatto con Jakov Uzelkov, un cacciatore di scoop sensazionalistici, disposto a tutto pur di raggiungere la fama. Tra i due nasce una rivalità che intreccia indissolubilmente le loro sorti su più piani: l’amore e la battaglia di ingegno li legano in un destino comune.

Il contesto, come scritto, è quello della Russia post-rivoluzionaria, dove i disordini causati dai banditi si scontrano con la fragile ascesa del regime sovietico. In questo scenario precario, Ven’ka scopre amaramente come l’ideale comunista in cui crede sia spesso corrotto dalla brutalità delle istituzioni e dalla logica spietata del potere.

Pavel Nilin non si limita a denunciare la violenza selvaggia dei criminali. L’opera si addentra in una riflessione più profonda, mettendo in luce una crudeltà più subdola e sistematica: quella dello Stato stesso. Crudeltà si rivela così un’opera premonitrice, che anticipa i temi del dissenso sovietico. Essa esplora l’amara verità sull’impossibilità di mantenere l’integrità etica in un sistema che punisce chiunque osi seguire la propria coscienza.

Un romanzo onesto, capace di ritrarre un periodo difficile senza cadere in facili idealizzazioni. I personaggi sono complessi e le loro motivazioni non sempre chiare, riflettono le ambiguità morali che potevano emergere in quel contesto storico e, senza tanti giri di parole, anche nel nostro.

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Il Fatto Quotidiano

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