Perché Space Act e legge italiana sullo spazio sono due lati della stessa medaglia. Parla Mascaretti

  • Postato il 3 luglio 2025
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Il 25 giugno 2025 ha rappresentato una data simbolica per l’Europa spaziale. Mentre la prima legge nazionale sull’economia dello spazio veniva pubblicata in Gazzetta Ufficiale, la Commissione europea ha presentato il suo Space Act, un primo tentativo di regolare e armonizzare il settore a livello comunitario. Una coincidenza quasi “un segno del destino”, secondo Andrea Mascaretti, presidente dell’Intergruppo Parlamentare per la Space economy e relatore della legge italiana per l’economia dello Spazio. Intervistato da Airpress, Mascaretti ha analizzato le similitudini tra i due testi e le sfide che si aprono adesso, tra la necessaria spinta all’innovazione e il rischio di ripetere gli errori commessi con l’AI Act.

La proposta europea di normativa spaziale arriva proprio nei giorni in cui l’Italia ha varato la sua legge sulla space economy. Coincidenza significativa, o qualcosa di più?

È una coincidenza straordinaria. Il 25 giugno, nella stessa giornata, l’Italia pubblica la sua prima legge per lo spazio e la Commissione presenta due documenti strategici — lo Space Act e la strategia per la space economy. Se ci fossimo messi d’accordo, non sarebbe stato possibile fare di meglio. È il segno che il momento è adesso, e che l’Italia è al posto giusto, nel momento giusto. Con questa legge voluta dal ministro Urso, siamo seduti al tavolo europeo da protagonisti.

Molti osservatori notano che alcuni passaggi dello Space Act sembrano ispirati proprio alla legge italiana. È così?

In effetti, nella proposta europea si ritrovano meccanismi che noi abbiamo già messo nero su bianco: le autorizzazioni per operare nello spazio, il registro nazionale degli oggetti spaziali, le responsabilità per eventuali danni, i principi di sostenibilità. La nostra è, a tutti gli effetti, una legge moderna, costruita con un approccio sistemico e che prevede il coinvolgimento dell’intera filiera industriale. Abbiamo tenuto conto di normative già esistenti in altri Paesi, certo, ma abbiamo saputo innovare. È un po’ come accade con le Costituzioni: quelle più recenti tengono conto di temi che quelle più antiche non potevano ancora prevedere. In particolare abbiamo potuto tenere conto del nuovo contesto che prevede lo sfruttamento commerciale delle orbite basse e l’ormai prossimo utilizzo dell’orbita e della superficie lunare.

Cosa pensa invece della struttura del testo presentato dalla Commissione? È un buon punto di partenza?

Sì, ma andiamo con cautela. Il fatto che Bruxelles abbia avviato il confronto con gli stakeholder è positivo. Tuttavia, il rischio di creare un ulteriore livello di burocrazia esiste. Serve una norma che armonizzi, non che si sovrapponga alle legislazioni nazionali esistenti. Il pericolo è ripetere l’errore dell’AI Act che, invece di facilitare l’innovazione, ha sollevato critiche da parte degli operatori per insufficiente chiarezza sugli obblighi per le imprese. L’economia dello Spazio, come l’intelligenza artificiale, è un settore in continua e veloce evoluzione: bisogna lasciare che le economie più forti — come quelle di Italia, Francia e Germania — possano correre, per garantire la competitività europea.

Nello Space Act si parla di una “licenza unica europea” per le attività spaziali. Una semplificazione o una minaccia all’autonomia normativa nazionale?

Dipenderà dal testo finale dello Space Act. Gli operatori spaziali dell’Unione Europea, per operare, dovranno prima ottenere da uno Stato membro un’autorizzazione a svolgere attività spaziali, in base al possesso di requisiti fissati, che saranno uguali per tutti, a seconda della categoria di operatori spaziali interessati. Ovviamente ogni Stato membro riconoscerà le autorizzazioni rilasciate da un altro Stato membro sulla base dei requisiti fissati.

E il sostegno alla filiera industriale? Alcuni temono che lo Space Act si limiti a regolare, senza offrire strumenti concreti di supporto.

Questa è la vera sfida. Regolare non basta. Se l’Europa vuole davvero sostenere lo sviluppo del settore,  deve agire su tre direttrici: ricerca, capitale umano e investimenti. Occorrono grandi finanziamenti per la ricerca e la formazione, ma sono indispensabili anche importanti investimenti nell’industria e nei servizi per lo Spazio. Per attrarre investimenti privati, l’Ue dovrebbe favorire lo sviluppo di un vero mercato spaziale comune, promuovendo l’acquisto di servizi spaziali da parte delle sue istituzioni e delle Pubbliche amministrazioni degli Stati membri. In Italia, ad esempio, abbiamo creato un Fondo per l’Economia dello Spazio, Bruxelles potrebbe attivare uno strumento simile.

Cosa proporreste, quindi, come modello europeo?

Una normativa leggera, che armonizzi quelle già esistenti. Una normativa che non imponga ulteriori vincoli e appesantimenti burocratici alle economie spaziali che già funzionano, ma anzi le supporti favorendo lo sviluppo di costellazioni satellitari europee, pronte a rispondere alle richieste di servizi del mercato interno, che oggi richiede servizi per l’ambiente, l’agricoltura, la logistica, le infrastrutture, le pubbliche amministrazioni e la gestione delle calamità naturali. 

Autore
Formiche

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