Perché per me la sentenza della Cassazione in materia di epidemia colposa risulta decisamente opinabile
- Postato il 4 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Ha destato scalpore la recentissima sentenza della Corte di Cassazione penale, a Sezioni Unite, depositata il 28 luglio 2025 in materia di epidemia colposa. Le reazioni sono più che giustificate: la causa in oggetto riguarda gli eventi del biennio pandemico che rappresentano, ancora oggi, una ferita aperta, per molteplici ragioni, per la memoria collettiva del Paese. Proviamo allora a decrittare il contenuto di tale pronuncia cercando di semplificarne il più possibile i passaggi giuridicamente ostici.
I fatti riguardano il periodo di marzo e aprile 2020 (dunque, l’esordio del Covid-19) e il nosocomio di Alghero. Un dipendente dell’azienda ospedaliera, delegato alla sicurezza, viene accusato del delitto di epidemia colposa (sviluppatasi all’interno della struttura sanitaria) per non aver fornito ai colleghi i dovuti dispositivi di protezione e per non averli sufficientemente formati. L’imputato è assolto dal Tribunale di Sassari sulla base di un assunto perfettamente logico. L’art. 438 c.p. stabilisce: “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo” (nel nostro caso, per l’epidemia cagionata non con dolo ma per colpa, l’art. 452 prevede la reclusione da uno a cinque anni). A sua volta, l’art. 40, II comma c.p. prevede che “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
La chiave di volta di tutta la faccenda è proprio questa: l’articolo 40 si può applicare al reato previsto dagli artt. 438 e 452 c.p.? O, altrimenti detto: è configurabile il reato di epidemia colposa attraverso un comportamento omissivo?
Secondo il Tribunale di Sassari no perché – per la costante giurisprudenza penale – i delitti connotati da una “condotta commissiva a forma vincolata” sono incompatibili con l’articolo 40, II comma; infatti, essi possono essere realizzati solo con un comportamento “attivo” ben preciso e specificato dalla norma, non tramite una semplice omissione. Ed è esattamente il caso – secondo la prospettazione del Tribunale sardo – del reato di epidemia colposa dove l’imputato (per subire la condanna) deve aver cagionato l’evento “mediante la diffusione di germi patogeni”. È del tutto evidente che una cosa del genere è impossibile “farla” – “per la contraddizion che nol consente” – tramite una omissione.
A questo punto, fornita la “cornice” di riferimento del problema, non resta che capire quale sia stato il “quadro” interpretativo restituito dagli ermellini. Ebbene sorprendentemente i giudici di legittimità, ribaltando l’assoluzione intervenuta in primo grado, hanno statuito che il reato di cui all’art. 438 e 452 c.p. è a forma libera e non a condotta vincolata. Dunque, ci si può macchiare del delitto di epidemia colposa anche con un contegno omissivo. E ciò può accadere anche nel caso di chi, infetto, contagi qualcuno per imprudenza o negligenza (ad esempio, violando le regole sul lockdown o sull’adozione dei dispositivi di protezione, come le famose mascherine).
Trattasi di una decisione estremamente opinabile per una serie di ragioni. In primis, perché tradisce, con tutta evidenza il dato letterale inequivocabile della norma “piegandolo” oltre ogni ragionevole limite esegetico. In secundis, perché la stessa relazione del Guardasigilli al progetto del codice penale del 1930 chiariva quale fosse la “ratio” sottesa agli artt. 438 e 452: e, cioè, quella di impedire che il soggetto “in possesso” di germi (e, dunque, non semplicemente contagiato dai medesimi) cagionasse, attraverso uno spargimento attivo (doloso o colposo) una epidemia. In terzo luogo, perché lo stesso codice penale aveva distinto molto accuratamente i reati da “contagio” (ad es. l’art. 544 c.p., poi abrogato, relativo al contagio da “sifilide e blenorragia”) rispetto ai reati da “possesso” di agenti patogeni come gli art. 438 e 452 c.p. In quarto luogo, e soprattutto, tale forzatura ermeneutica consegna un formidabile strumento giuridico di repressione al potere esecutivo; il quale potrà, d’ora in poi, “criminalizzare” il comportamento di chi non si adegua a regole, per ipotesi, insensate come molte di quelle che i cittadini italiani hanno avuto modo di sperimentare sulla loro pelle durante l’epidemia Covid: dall’abuso autolesionistico delle mascherine ai lockdown inutili e dannosi fino al dissenso nei confronti di trattamenti sanitari obbligatori come quelli vaccinali.
Se si seguisse, infatti, il ragionamento sotteso al celebre, quanto scientificamente infondato, monito di Draghi (“Non ti vaccini, ti ammali e muori o fai morire”) persino il rifiuto di sottoporsi alla puntura di un siero potrebbe configurare il reato in oggetto. In altre parole, chi dovesse, un domani, violare un coprifuoco sanitario o un obbligo vaccinale, rischierà ricadute penali. Dunque, a tutti gli effetti, ci troviamo di fronte non solo a una sentenza insostenibilmente “creativa”, ma anche a una vera e propria latente minaccia alla possibilità, per i cittadini, di autodeterminarsi (soprattutto rispetto al proprio corpo) in occasione di futuri eventi pandemici.
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