Parkinson, “così le staminali hanno ridotto i tremori”. Due studi pubblicati su Nature

  • Postato il 16 aprile 2025
  • Scienza
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Che le cellule staminali potessero contribuire un giorno al contrasto di una malattia come il Parkinson era atteso, ma oggi Nature pubblica un articolo in cui descrive due studi clinici che dimostrano come l’utilizzo delle staminali abbiano portato a risultati incoraggianti. Si tratta di ricerche in fase iniziale, con soltanto 19 partecipanti, ma l’iniezione di neuroni derivati da cellule staminali nel cervello è apparsa sicura. Ma non solo, secondo i ricercatori, sono state in grado di sostituire le cellule produttrici di dopamina (che muoiono nelle persone affette dalla malattia) e sopravvivere abbastanza a lungo da produrre l’ormone cruciale. Alcuni partecipanti hanno sperimentato una riduzione visibile dei tremori.

“Un grande passo avanti nel campo” sostiene Malin Parmar, biologo delle cellule staminali alla Lund University, in Svezia, intervistato da Nature. “Questi prodotti cellulari sono sicuri e mostrano segni di sopravvivenza cellulare”. Il fatto che i pazienti trattati siano così pochi ovviamente è un dato importante per invocare la massima prudenza. “Alcune persone sono migliorate leggermente e altre non sono peggiorate” aggiunge Jeanne Loring, ricercatrice al prestigioso Scripps Research di La Jolla, in California, e ciò potrebbe essere dovuto al numero relativamente ridotto di cellule trapiantate in questi primi studi in fase iniziale.

Il Parkinson è una malattia cerebrale progressiva e degenerativa, si cui ne soffrono circa 300mila italiani e che si prevede colpirà 25 milioni di persone nel mondo entro il 2050. Tra i disturbi associati alla malattia sono inclusi un rallentamento dei movimenti, tremori, rigidità muscolare e disturbi del linguaggio. Il Parkinson, insieme ad altre condizioni neurodegenerative come l’Alzheimer, causa l’accumulo di proteine ​​nei neuroni, che porta a un ripiegamento errato delle proteine ​​e a una compromissione della funzionalità cellulare. Le attuali terapie possono alleviare alcuni sintomi, ma non affrontano la causa principale del ripiegamento errato delle proteine.

Il primo studio è stato condotto tra Stati Uniti e Canada e ha coinvolto 9 uomini e 3 donne con il morbo di Parkinson, con un’età media di 67 anni. I ricercatori hanno trasformato le cellule staminali di embrioni umani donati in cellule progenitrici neurali e le hanno congelate per conservarle. Ai riceventi sono stati somministrati farmaci immunosoppressori per un anno dopo l’intervento, per evitare che il loro organismo rigettasse il trapianto. “Le scansioni cerebrali – si legge su Nature – hanno mostrato un aumento generale della produzione di dopamina, suggerendo che alcuni neuroni siano sopravvissuti per tutto il periodo di osservazione di 18 mesi, anche dopo che i partecipanti hanno smesso di ricevere i farmaci immunosoppressori. In media, i soggetti che hanno ricevuto la dose bassa hanno mostrato un miglioramento dei sintomi di 9 punti su una valutazione standardizzata della malattia di Parkinson, mentre quelli che hanno ricevuto la dose alta hanno guadagnato 23 punti. La valutazione misura le attività della vita quotidiana, i livelli di dolore, il sonno e l’alimentazione. Agnete Kirkeby, scienziata delle cellule staminali presso l’Università di Copenaghen e coinvolta in uno studio europeo, sottolinea che questo parametro è in qualche modo soggettivo e può essere influenzato dall’effetto placebo, ma afferma che i risultati giustificano studi più ampi”.

Il secondo studio, condotto in Giappone, è partito da cellule adulte di un donatore e le ha riportate a uno stato pluripotente, dal quale potevano essere indotte a diventare cellule progenitrici neurali. Le cellule appena differenziate sono state immediatamente iniettate nei partecipanti, quattro uomini e tre donne di 50-69 anni. Tre individui hanno ricevuto fino a 5 milioni di cellule e 4 hanno ricevuto fino a 11 milioni di cellule, di cui rispettivamente 150.000 e 300.000 sarebbero sopravvissute. “Questo basso tasso di sopravvivenza è un grosso problema che deve essere risolto”, afferma Jun Takahashi, neurochirurgo dell’Università di Kyoto in Giappone, che ha guidato la sperimentazione. Ai partecipanti sono stati somministrati farmaci immunosoppressori per 15 mesi. I ricercatori giapponesi non hanno osservato alcun problema di sicurezza durante il periodo di osservazione di due anni e i livelli di produzione di dopamina sono aumentati nella maggior parte dei partecipanti, suggerendo che alcune cellule sono sopravvissute. I ricercatori hanno anche esaminato il miglioramento dei sintomi in sei partecipanti, scoprendo che in media hanno registrato un miglioramento di dieci punti. Questi cambiamenti includevano la quantità di assistenza necessaria e la riduzione dei tremori.

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Il Fatto Quotidiano

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