Paradigmi dell’acqua: non una merce, ma un bene comune e un diritto inalienabile

  • Postato il 10 giugno 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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La fine della primavera e l’estate incombente aumentano l’ansia per la siccità. Per placarla, che cosa c’è di meglio di un convegno, un simposio, una tavola rotonda sul tema dell’acqua? Eventi stagionali che ogni anno riuniscono in Italia economisti illustri assieme a parecchi politici, qualche imprenditore, svariati divulgatori, gente varia. In altri tempi, avrebbero chiesto una opinione anche a Benedetto Castelli o Evangelista Torricelli, a Paolo Frisi o Leonardo Ximenes, a Domenico Turazza o Francesco Brioschi, a Giulio De Marchi o Girolamo Ippolito (Fig.1). Altri tempi, appunto.

L’acqua è una risorsa limitata e vulnerabile, benché sia essenziale per sostenere la vita sulla Terra, gli ecosistemi, lo sviluppo economico e sociale. Nel corso della storia, l’umanità ha via via introdotto regole per condividerla e usarla, riversarla e sbarazzarsene. La gestione delle acque è sempre stata affrontata attraverso il prisma di paradigmi che riflettevano gli atteggiamenti prevalenti e le pratiche dominanti. Questi paradigmi hanno in qualche modo canonizzato e codificato le strutture mentali con cui affrontare la questione. Lo hanno fatto tramite la comunicazione sociale, il comportamento e i processi interpretativi. E di pari passo con lo sviluppo della scienza, della ingegneria e dell’architettura dell’acqua.

Il più antico è il paradigma spirituale-religioso, profondamente radicato nella mitologia, nei racconti e nelle dottrine religiose di tutto il mondo, ai confini con l’etica. Il paradigma dell’ingegneria idraulica risale a qualche secolo prima di Cristo e lo sviluppo della tecnologia islamica dell’acqua lo rafforzò molto più tardi in modo potente. Con l’inizio dell’età industriale, questa visione del mondo ha lasciato il posto al paradigma scientifico del XVII secolo che vide nell’acqua una sostanza chimica e fisica, le cui proprietà vanno studiate con metodo scientifico.

Alla fine del XX secolo, il paradigma economico-finanziario diventò l’archetipo prevalente, innescato dal paradigma industriale-idraulico, che s’impose nel XIX e XX secolo. Per contro, il paradigma ecologico del XX secolo è spesso in antitesi con quest’ultimo perché enfatizza la sostenibilità nel suo significato più ampio, considerando i fattori ecologici, l’etica ambientale, la salute e talora anche la spiritualità. E si allinea per molti versi al paradigma spirituale-religioso.

Le altezze reali, i governanti e la nobiltà — tutti amanti dei giardini e dei bagni termali, delle fontane e dei giochi d’acqua utili a ostentare il proprio rango sociale — hanno creato un proprio paradigma estetico-ricreativo. Spesso dimenticato, questo paradigma ha indotto le famiglie reali europee nel corso del Rinascimento e dell’era moderna a valorizzare le acque, seguendo le orme degli imperatori romani e dei sultani ottomani. E hanno lasciato in eredità realizzazioni di grande fascino.

Come quello scientifico, il paradigma scientifico-sanitario guarda all’acqua come a una sostanza chimica e biochimica, dato il suo potenziale di ospitare agenti patogeni. Consolidato dagli studi alchimistici e chimici del XVII secolo, esso deriva dal paradigma sanitario che Vitruvio aveva sostenuto con forza venti secoli prima nel suo capolavoro De Architectura, senza dimenticare l’eredità dell’alchimia di Paracelso degli inizi del XVI secolo.

Sebbene il paradigma giuridico esista da sempre, esso si è consolidato con la costituzione degli stati nazionali. E, negli ultimi decenni, governare l’acqua con giustizia è diventato un mantra, man mano che le controversie tra utenti all’interno di un paese e tra paesi diversi hanno cominciato a diventare più intense e frequenti. Ma la costante perdita di influenza degli organismi internazionali non ne favorisce una composizione amichevole; e neppure ragionevoli soluzioni.

Nel mondo ci sono 343 conflitti in corso con l’acqua come causa, scopo, obiettivo. Se affrontata con la sole lente finanziaria, questa conflittualità non sarà facilmente arginata. Utile e dividendi sono una bella cosa, ma qualche volta non bastano e, talvolta, impongono strade sbagliate. L’acqua non è una merce, ma un bene comune e un diritto inalienabile. Sono necessari principi condivisi, visioni sostenibili, coerenza e consistenza progettuale, consolidate competenze.

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Il Fatto Quotidiano

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