Palio di Siena, se per voi i cavalli sono sacri allora smettetela di sfruttarli

  • Postato il 16 agosto 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Qualche giorno fa, come redazione de ilfattoquotidiano.it, abbiamo accolto – e rilanciato – una lettera della Lav, inviata ai principali gruppi televisivi italiani, con la quale si chiede di non trasmettere il Palio di Siena. Lo abbiamo fatto a modo nostro, vale a dire mostrando la vacuità della politica italiana, che quest’anno ha fatto le capriole – unicamente per fini elettorali – per approvare una zoppa legge contro i maltrattamenti sugli animali. Così zoppa che ha escluso i selvatici (che nella proposta originale erano stati compresi) e le corse. Di fatto, l’ha rivolta – male – a cani e gatti. A proposito: se vi viene in mente una foto social di Salvini “in compagnia dei nostri amici a quattro zampe” è tutto giusto.

Dopo l’uscita dell’articolo sul Palio di Siena, ho avuto modo di confrontarmi con una persona (di Siena) che ama il Palio e che non ha condiviso il contenuto del pezzo. La sua prima argomentazione è che i 43 cavalli morti dal 1975 “sono morti a causa degli incidenti (in corsa, nda), mica vengono uccisi di proposito”. La seconda è che, per un senese, “i cavalli sono sacri” (tanto sacri che questa persona, un vecchio amico di cui ho stima, mi ha detto di “aver impiegato 35 anni prima di assaggiare la carne di cavallo”). Di più: “Sono i nostri dèi, e se ne muore uno in città è lutto”.

Ora, per natura io tengo in grandissima considerazione ciò che è legato alla storia, alle tradizioni. Per esempio, amo i dialetti. E sono convinto, in linea generale, che ciò che ci contraddistingue, ciò che contribuisce a definire la nostra identità di individui, di comunità, vada preservato, tanto più se si pensa alla tetra banalità, alla dannosa monocultura esportata – e assorbita – ovunque dal cosiddetto mondo globale. Ci sono dei “però” grandi come una casa. E il Palio di Siena è uno di questi.

Parlando con l’amico senese, mi sono venute in mente tante cose, perlopiù legate alla violenza (ce n’è tanta, oggi, dappertutto), ma mi è venuto in mente anche il paese in cui sono nato e cresciuto: si chiama Piazzatorre e sta in cima a una valle, nella Bergamasca. Cosa c’entra una località di montagna con la violenza, gli animali e il Palio di Siena, vi starete chiedendo. Secondo me c’entra, e provo a dire perché.

L’ascesa e la caduta del mio paese – la sua parabola – è emblematica ed è comune a centinaia di paesi delle Alpi e degli Appennini: il modello sci-centrico, seconde case fin dove c’è l’ultimo fazzoletto di prato libero, il turismo di massa; poi la neve che non arriva più, i negozi che chiudono, le serrande che restano abbassate. E, oggi, la pervicacia nell’insistere unicamente con quel modello: soldi, fiumi di soldi, per costruire bacini – al posto dei boschi – per la neve artificiale, per tirare su nuovi impianti di risalita, per sbancare la montagna. Il tutto – nel caso del mio paese – tra i 1.400 metri e i 1.800 metri di quota.

Se parlo coi miei compaesani, tanti di loro mi dicono che “i boschi e la montagna sono sacri”. Un po’ come i cavalli per l’amico di Siena. E non fa nulla se muoiono. Mica è colpa nostra.

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Il Fatto Quotidiano

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