Non sono d’accordo con chi continua a definire Papa Francesco un uomo politico
- Postato il 22 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Dafni Ruscetta
Papa Francesco è stato un fine messaggero della natura più profonda dell’animo umano, dei sentieri nascosti nelle coscienze degli individui, della bellezza che nasce dal risveglio della ‘comprensione’ e dalla ricerca spirituale che è fondamentalmente soggettiva, di un percorso che conduce all’essenza.
Egli ci ha mostrato, in accordo con il più autentico spirito del cristianesimo testimoniato nei Vangeli, che il vero volto dell’umanità sta anzitutto nella giustizia, che tutti i percorsi spirituali possono condurre a un filo comune, dove si fonde il mistero dell’esistenza, dell’amore, della pace tra tutti gli esseri viventi. Francesco è stato amato dalla gente – quella maggioranza della popolazione mondiale che non si riconosce nel potere – per il suo essere uomo comune, spesso controcorrente, per la sua generosità, per la dolcezza, ma anche per la risolutezza, per il coraggio di distinguere cosa è davvero bene e cosa è male, senza ipocrisie e al di là dei convenzionalismi di facciata.
Non sono d’accordo con chi, ideologicamente e forse anche un po’ strumentalmente, continua a definire Papa Francesco un uomo politico. La sua costante azione a difesa degli ultimi, “in direzione ostinata e contraria”, l’umiltà nel parlare a tutti con semplicità, sono certamente atti politici, ma Francesco non era un uomo politico, era anzitutto un uomo di fede, un profeta (come lo ha definito Vito Mancuso ne La Stampa). Questa sua fede non è quasi mai stata un dogma, nemmeno un’astrazione concettuale dell’intelletto, ma proveniva dalla semplicità del cuore, verosimilmente frutto delle sue origini. Ci ha insegnato che la giustizia è bellezza, che l’etica non si può interpretare e nemmeno manipolare a piacimento, che la grazia e la spiritualità non si nutrono di mondanità e di vanità, ma appartengono a un’altra sfera, a quella dell’umiltà, dell’infinito silenzio che muove ogni elevazione dello spirito umano, dell’accettazione della finitezza della vita.
Tornando alle ultime immagini dei giorni scorsi, mi ha commosso vederlo affacciarsi al balcone nel giorno di Pasqua per sussurrare, con un filo di voce, la benedizione ai fedeli, così visibilmente affaticato; mi ha emozionato poi nell’offrire il suo corpo indebolito alla gente in delirio in quella piazza, nel portare conforto alla dura condizione dei carcerati.
Mi piace pensare che la vera ragione di esporsi al rischio di un sacrificio così grande per quel fisico tanto sofferente, nonostante le raccomandazioni dei sanitari che lo avevano avuto in cura, che il motivo di quel gesto di grande generosità proprio nel giorno della resurrezione di Cristo, sia stata la sua consapevole e personale via crucis, il cammino di passione come esempio di amore totale verso l’umanità. In questo gesto estremo, in quell’immagine, si fissa il simbolo indelebile della santità di quest’uomo, che non ha bisogno di altre riconoscibili stimmate. Così come l’esempio del poverello di Assisi, così come i racconti del Vangelo della vita di Cristo, Papa Francesco è un modello di giustizia, amore e verità.
Come tale ci ha infine rivelato – attraverso l’esempio del suo ultimo giorno di vita, in cui ha scelto di stare tra la folla – che la fine dell’esistenza è qualcosa di semplice, di naturale, un’occasione di consapevolezza, di bellezza, facendoci penetrare nelle più profonde dimensioni della nostra umanità.
Pur consapevole che la storia dei prossimi anni ci consegnerà le peggiori conseguenze della deriva prima antropologica e poi politica a cui stiamo andando incontro, la testimonianza del passaggio di quest’uomo è il seme che dobbiamo custodire da far germogliare in una futura primavera, che certamente arriverà dopo il freddo inverno dell’umanità a cui ci stiamo preparando. Grazie per questo fiore papa Francesco.
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