“No bugie ai giovani. Questo è lavoro bellissimo, ma a perdere. I primi 10 anni si perdono più cose di quante se ne guadagnino”: così chef stellato Roberto Di Pinto

  • Postato il 19 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Cosa si cela dietro un ristorante stellato? Lo svela chef napoletano Roberto Di Pinto, che sta raccogliendo successi con il suo ristornate Sine by Di Pinto a Milano, aperto nel 2018 e che ha guadagnato la stella Michelin nel novembre 2024.

In una intervista a Il Corriere della Sera lo chef ricorda le difficoltà che ha attraversato quando ha aperto il ristorante nel 2018. I debiti non sono mancati così come i grandi sacrifici: “Per due anni ho rinunciato allo stipendio”.

Così testa basta e marciare col motto: “Mettere da parte l’ego da chef per dare spazio al cliente. Tutte le sere, al pass, ai ragazzi dico: ‘Non è la nostra serata, è la loro’. Il ristorante è in crescita costante, sono felicissimo. Per cenare al mio chef’s table da 3 posti, a 220 euro a persona, ho tre mesi di attesa. La sala è piena, le persone apprezzano i nostri tre menu degustazione. Ma dietro c’è un grande lavoro, soprattutto sulla brigata. Ormai assumo in base alla compatibilità emotiva, più che alle esperienze sul cv. E sono stanco del chiacchiericcio che si è creato attorno alla nostra professione: la si sta dipingendo come qualcosa che non è”.

Nello specifico lo chef sottolinea che “sta cominciando a passare il messaggio che sia possibile fare gli chef stando a casa il weekend, il giorno del compleanno, eccetera. Per carità, io sono il primo che si sveglia al mattino e pensa a come far star meglio il suo team, ma i casi di chi si può permettere di chiudere il sabato e la domenica sono bellissime e giustissime eccezioni, ma non la regola”.

Insomma rivoluzionare sì ma con moderazione: “Non si può raccontare una bugia. Nessuno vuole tornare ai tempi in cui si lavorava 18 ore al giorno e ti dicevano ‘coglione’, a me è capitato: si lanciavano pentole e volavano urla, erano ambienti tossici, con chef bravissimi ma pessimi come persone. Però allo stesso tempo bisogna essere onesti: ai ragazzi nelle scuole va detto che il cuoco è ancora chi lavora quando gli altri festeggiano, va spiegato che è un lavoro bellissimo, ma ‘a perdere’, nel senso che almeno nei primi dieci anni di professione si perdono più cose di quante se ne guadagnino. Poi, se si resiste, arrivano i risultati”.

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Il Fatto Quotidiano

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