No all’orale di Maturità: perché non sono d’accordo né con la retorica militarista né col moralismo
- Postato il 11 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Non ho mai amato la retorica militarista o machista. Ma, appunto, quando essa è retorica. Né ho mai trovato convincente, semmai dannosa, quella buonista, moralista, inclusiva e comprensiva ad ogni costo. È una questione di retorica in entrambi i casi, appunto, perché quando una posizione teorica non tiene conto dei dati del reale, malgrado i suoi punti di forza (e verità), finisce col reclinare al livello di uno sterile pregiudizio ideologico.
È quello che penso stia succedendo ormai da svariato tempo e che, in questi giorni, si è tradotto nella clamorosa decisione di tre studenti delle scuole superiori che si sono rifiutati di affrontare la prova orale dell’esame di maturità (ma comunque promossi). Entrambe le retoriche di cui ho accennato sopra si sono espresse e, nella loro sconfortante parzialità, hanno finito col dare il peggio di sé.
Da una parte, appunto, la retorica machista o militarista, quella che accusando i ragazzi (ma soprattutto gli insegnanti e la Scuola) di smidollaggine, incapacità di soffrire e sacrificarsi, di fuggire davanti alle difficoltà, è arrivata fino alle dichiarazioni del ministro dell’Istruzione, il quale ha promesso che dall’anno prossimo gli studenti che si rifiuteranno di sostenere l’esame orale alla maturità saranno automaticamente bocciati. Dall’altra parte abbiamo assistito, non da oggi per la verità, alla retorica moralista di coloro che parlano di ragazzi troppo stressati, sotto pressione, sottoposti alla vera e propria ingiustizia anacronistica del “sistema dei voti”, che andrebbe eliminato per consentire agli studenti un apprendimento sereno e non competitivo.
La prima retorica sbaglia, a mio avviso, nella misura in cui applica un atteggiamento esclusivamente reattivo e per nulla comprensivo. Sì, perché oggi andrebbe quantomeno compreso il contesto tecnocratico in cui sono immessi i più giovani, schiacciati da un sistema che ne degrada le facoltà cognitive (il pensiero critico, anzitutto), ne indebolisce quelle emotive (ansia, depressione, senso di inadeguatezza e scarsa capacità di reagire alle difficoltà sono caratteristiche sempre più diffuse in una generazione che nella vita online viene sempre più illusa che ci sia un’app per ogni problema).
Una società e una politica che non comprendono tutto questo, e che soprattutto fanno poco o nulla per tutelare i più giovani dal predominio alienante, ipnotizzante e totalizzante della tecnica (la genuflessione della politica di fronte al più grande business economico del nostro tempo è tanto grave quanto sconfortante), si rivela inutilmente assertiva e quindi sterile (se non controproducente) nell’affrontare il disagio crescente di giovani generazioni sottoposte a un’esistenza sociale – fra l’altro – molto più disagiata e meno tutelata rispetto a quelle che le hanno precedute.
Ma a sbagliare è anche la seconda retorica, quella a mio avviso moralistica del voler compiacere a tutti i costi i ragazzi, del volerli sempre proteggere (e dispensarli dalle valutazioni oggettive e meritocratiche) dimenticando che il modo migliore che hanno gli insegnanti (e gli adulti in genere) per proteggerli consiste nel prepararli agli urti inevitabili della vita, quindi a educarli perché sappiano reagire alle difficoltà e tirare fuori il meglio dalla propria personalità e dalle proprie inclinazioni. La vita stessa è competizione, urti continui, ingiustizie e soprusi, per cui se la Scuola non prepara i propri studenti a tutto questo, fallisce clamorosamente il proprio compito.
Il più grande errore dei moralisti consiste nel voler crescere, istruire ed educare i ragazzi in previsione di un mondo ideale che esiste soltanto nella loro testa, ma che viene sonoramente smentito dal principio di realtà. Inoltre, se viene meno il tentativo di valutare l’impegno e il rendimento degli studenti in base a criteri per quanto possibile oggettivi (i voti) e meritocratici, l’alternativa sarà quello che vediamo purtroppo trionfare in troppi settori: la raccomandazione, la cooptazione, la mediocrità premiata di chi si genuflette al potente di turno.
Insomma, non è con l’atteggiamento e con le retoriche di coloro che per comodità ho chiamato militaristi e moralisti che si può pensare di affrontare il disastro pedagogico in cui ci siamo imbattuti da qualche decennio.
Bisognerebbe ripensare il nostro sistema scolastico ed educativo nel suo insieme, da una parte comprendendo (e affrontando fattivamente) il disagio delle nuove generazioni, ma dall’altra tornando a educarli per quel gioco anche duro e ingiusto che spesso è la vita (quindi anche tornando a valutare sul serio, quindi bocciare nel caso). Ma mi chiedo come sia possibile farlo, quando al governo (e non solo lì) abbiamo non chi si è rifiutato di sostenere l’esame di maturità, ma chi forse farebbe bene a ridarlo nuovamente.
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