New York, Mamdani batte Cuomo alle primarie dem: alla destra si risponde con coerenza, non coi compromessi

  • Postato il 25 giugno 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Se vogliamo capire dove sta andando il vento della Storia, guardiamo a New York. Martedì notte Zohran Kwame Mamdani, 33 anni, figlio della diaspora africana e militante socialista, ha travolto nientemeno che Andrew Cuomo nelle primarie democratiche per la carica di sindaco. Bombe mediatiche, super-Pac da 25 milioni di dollari, endorsement di mezzo establishment: nulla è bastato al vecchio governatore per arginare una marea di giovani, lavoratori precari, donne e comunità razzializzate che hanno scelto un programma radicale su casa, trasporti gratuiti e tassazione dei big del real estate.

Perché Mamdani? Perché ha parlato la lingua della vita quotidiana: affitti insostenibili, salario che non copre più il costo di un MetroCard, asili nido pubblici per chi non arriva a fine mese. Ha trasformato la rabbia in progetto, rispondendo ai colpi bassi – lo chiamavano “il musulmano socialista” per spaventare i moderati – con un sorriso porta-a-porta e 10mila volontari sul territorio. Nell’era degli algoritmi, la sinistra vince ancora bussando alle porte.

Che cosa ci insegna questa storia? Ad esempio che alla destra si risponde con la coerenza, non con i compromessi al ribasso. È la lezione che Bernie Sanders ripete dal 1981, da quando conquistò Burlington promettendo case popolari e trasparenza fiscale contro gli speculatori. È la lezione che Alexandria Ocasio-Cortez ha portato al Congresso scalzando un capocorrente del Queens con un budget cento volte superiore. Dove la sinistra mostra coraggio – e non paura di essere chiamata “radicale” – l’elettorato la premia.

Ma insegna anche che un’agenda progressista non è un lusso etico, è l’unica bussola per battere la nuova destra identitaria. Giorgia Meloni non si sconfigge inseguendola su sicurezza e simboli patriottici, ma offrendo un’alternativa che tocchi le tasche e gli orizzonti dei più: redditi, affitti, clima, pace.

Se in Italia vogliamo costruire un fronte capace di scardinare Palazzo Chigi, dobbiamo sciogliere subito un nodo: smettere di trascinarci dietro i pesi morti del centrismo renziano e calendiano. Da anni Matteo Renzi e Carlo Calenda fanno e disfano tavoli, ammucchiano liste civetta, si dichiarano “responsabili” e poi pugnalano chiunque osi spostare l’ago un centimetro a sinistra. Il risultato? Elettori confusi, astensione record, Meloni al 30 per cento. La fotografia del 2022 è chiara e l’Europa ce lo ricorda a ogni tornata: dove il centrosinistra abbraccia l’austerity, vince la destra. Che fare, allora?

Primo: rompere il tabù di Israele. Sospendere immediatamente gli accordi militari e di ricerca – a partire dal programma ELT dell’aerospazio – finché Tel Aviv continuerà a demolire Rafah casa per casa.

Secondo: giustizia sociale e ambientale sono due facce dello stesso euro. Il caro-affitti strozza gli studenti di Milano come quelli di Brooklyn; il lavoro nero prospera nelle campagne pugliesi come nei magazzini di Amazon a Staten Island. Servono leggi sul salario minimo a 10 euro reali, stop ai contratti pirata, ispettori sul campo e un Green New Deal nazionale.

Terzo: un piano casa degno di questo nome. Mamdani ha messo sul tavolo l’affitto calmierato e la requisizione degli immobili sfitti dei fondi speculativi. In Italia oltre 6 milioni di abitazioni restano vuote mentre i fuorisede pagano 700 euro per un letto in doppia.

Quarto: pace. L’Articolo 11 non è un soprammobile. Come insegna Sanders, votare contro i crediti di guerra – dal Vietnam all’Iraq – non isola, ma conquista rispetto. Oggi inviamo armi in Ucraina senza uno straccio di strategia negoziale, mentre il Mediterraneo si riempie di navi militari.

Quinto: clima. La crisi ecologica non è un’agenda “green-chic” da talk show, ma la cornice che definisce se avremo ancora un’industria nel 2035. Di fronte a un’Italia che brucia quattro mesi l’anno, parlare di “transizione soft” è da irresponsabili: bisogna vietare nuovi pozzi fossili e accelerare al 100% rinnovabili nel 2030.

A chi obietta che “gli italiani non sono pronti a tanta radicalità” basta ricordare che due terzi del Paese chiede il salario minimo, il 70% vuole il cessate il fuoco a Gaza e l’88% teme la crisi climatica. I numeri ci dicono che l’elettorato è più avanti dei dirigenti. Il caso Mamdani prova che l’egemonia culturale si conquista con la chiarezza, non con le sfumature. Renzi e Calenda resteranno in tv e salotti dei talk della sera? Noi abbiamo porte da bussare, sezioni da riaprire, balconi da cui affacciarci con striscioni “Fuori l’Italia dalla guerra” e “Casa, Salario, Clima”. Noi puntiamo alle periferie che si astengono, ai rider sotto la pioggia, alle donne che cercano asilo antiviolenza e trovano liste d’attesa infinite. Non illudiamoci che esista una scorciatoia elettorale. Mamdani ha impiegato anni a costruire credibilità, come Sanders in Vermont o AOC nel Bronx. Ma oggi ha in mano il biglietto per Gracie Mansion perché non ha barattato i propri valori in cambio di un trafiletto benevolo sul New York Post.

Eccoci dunque: la sfida per l’Italia non è tecnica, è politica. Vuol dire scegliere se stare con chi propone la progressività fiscale o con chi difende il Reddito di Cittadinanza solo finché conviene nelle urne; se stare con chi blocca l’embargo sulle armi a Israele o con chi esce dai banchi del Parlamento gridando “pace” con la bocca ma votando spese militari con la mano. Se stare con chi appoggia i “negazionisti climatici” o con il 99% degli scienziati del mondo, che ci ricordano che siamo verso un punto di non-ritorno rispetto al surriscaldamento del Pianeta. Su questa coerenza si misura la volontà di cambiare rotta. Mamdani ha dimostrato che David può ancora battere Golia. A noi il compito di scagliare la fionda.

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Il Fatto Quotidiano

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