Nella tragedia israelo-palestinese vedo quella che Freud chiama coazione a ripetere

  • Postato il 30 luglio 2025
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Nella tragedia israeliano-palestinese pare esprimersi a livello di popolo quello che a livello di individui Sigmund Freud definì come coazione a ripetere.

La coazione a ripetere è uno strano fenomeno psichico. Si parte da un individuo che subisce un trauma. Il trauma psichico è qualcosa che per età, quando si è bimbi non si è ancora preparati ad affrontare determinati eventi, o per intensità, qualcosa che è troppo intenso e perturbante, la nostra mente vive in modo distruttivo. In pratica si tratta di un evento ingestibile psicologicamente che rompe la continuità del rapporto col mondo che ci circonda e lascia una ferita non rimarginabile.

Molti penseranno che di fronte ad un evento di questo tipo la mente umana, col tempo, cerchi la possibilità di dimenticare. In realtà invece la mente, proprio perché ha vissuto così intensamente con la sensazione di perdersi, rielabora l’evento traumatico nel tentativo di rinforzarsi per poterlo affrontare nel caso che si ripresenti. In questo modo si riapre continuamente la ferita psicologica per tentare dominare il trauma. Inconsciamente è come se l’individuo pensasse: “Devo prepararmi alla possibilità che si ripeta quella situazione terribile per cui meglio se ci ripenso e cerco di capire come affrontarla”. Spesso, proprio per comprendere mentalmente le emozioni che ci hanno travolto, si vanno in questo lavoro di rielaborazione a cercare le emozioni di tutti i componenti della scena.

Se qualcuno viene torturato o rapito cercherà mentalmente di entrare nelle emozioni e nel vissuto del torturatore o rapitore. Lo scopo è quello di essere pronto in futuro a dominare il trauma senza venirne sopraffatti.

Freud concettualizzò il fatto che l’inconscio cerca una soluzione e una nuova elaborazione del trauma irrisolto. Numerose esperienze con pazienti testimoniano come il meccanismo della coazione a ripetere sia molto forte e colpisca una fetta importante delle persone che hanno subito un trauma psichico distruttivo. Se si va a sviscerare la storia di molte persone che abusano sessualmente i minori scopriamo che a loro volta sono stati abusati, persone che picchiano o uccidono hanno spesso subito in infanzia della violenza fisica. In pratica mettendosi nei panni di colui che ha inferto il trauma risulterebbe più facile superare l’angoscia terrifica che è rimasta indelebile.

Chiaramente, fortunatamente, solo una piccola fetta di individui arriva a tanto perché esistono altre modalità di elaborazione del trauma da quelle più problematiche tipo usare droghe per dimenticare a quelle più evolute come dedicarsi a studi religiosi, filosofici, costruire una propria personalità consapevole e svolgere eventuali percorsi psicologici.

Dopo questa lunga descrizione della coazione a ripetere mi pare di poter ipotizzare che a livello di popolo stia avvenendo nella comunità sionista un meccanismo analogo. Si tratta di una suggestione non dimostrabile ma il fatto che coloro che hanno subito un tentativo di genocidio lo stiano riproponendo è veramente perturbante. In pratica l’aver subito la Shoah porterebbe un intero popolo a ricercare sicurezza, attraverso la ripetizione, su un altro gruppo etnico. I palestinesi a loro volta si sentono di aver subito la Nakba (catastrofe) con la deportazione dopo la guerra del 1948 e si affidano ai leader estremisti che predicano un analogo destino per i loro nemici.

Se queste suggestioni, che ripeto non hanno alcuna validità scientifica, sono verosimili, emerge che il problema israelo-palestinese non è semplicemente una disputa territoriale ma un conflitto simbolico. In quanto tale non si può risolvere con delle frontiere ma solo con la rielaborazione dei traumi di entrambi i popoli. L’unica strategia valida, anche se utopica, che mi viene in mente sarebbe quella di costruire delle scuole in cui i bambini israeliani frequentino assieme ai bambini palestinesi.

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Il Fatto Quotidiano

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