Massimo Lovati e i prestiti da soggetti “legati alla ‘Ndrangheta”. L’ex avvocato di Sempio non va a testimoniare e il pm lo riconvoca
- Postato il 24 ottobre 2025
- Mafie
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Io non ho una lira in tasca, ho solo delle cartacce. Non ho manco un conto corrente. Come ho fatto nella vita? Sono campato. Se sono qui è perché sono campato”. In un’intervista, rilasciata alla trasmissione Farwest e andata in onda sulla Rai il 17 ottobre, l’avvocato Massimo Lovati , orami ex legale di Andrea Sempio, ha dichiarato di non avere un conto corrente. Peccato, però, che nel 2009 lo stesso avvocato avrebbe chiesto prestiti a soggetti legati alla ‘ndrangheta ai quali firmava assegni che poi risultavano scoperti.
Ma andiamo con ordine: diventato ormai una sorta di personaggio televisivo, il legale ha affermato di non avere un conto corrente nel corso di un’intervista più ampia sull’inchiesta per corruzione in atti giudiziari in cui è indagato l’ex procuratore di Pavia Mario Venditti, il pm del delitto di Garlasco, al quale – secondo la Procura di Brescia – potrebbero essere finiti parte dei soldi della famiglia Sempio per ottenere l’archiviazione del figlio nel 2017. Un’ipotesi fortemente respinta dal magistrato indagato (che nei giorni scorsi ha ottenuto dal Tribunale del Riesame l’annullamento del provvedimento di sequestro e perquisizione) ma formulata dai pm bresciani in base a un appunto del padre di Sempio in cui si legge “20/30 euro”, accanto al nome di Venditti, e “gip archivia”.
Al netto dell’inchiesta giudiziaria ancora in corso, nel frattempo Lovati ha ammesso al Consiglio di disciplina di aver percepito pagamenti in contanti dalla famiglia Sempio e l’Ordine degli avvocati di Pavia ha trasmesso le sue dichiarazioni ai pm. Un dato che, comunque, era già comparso in un’annotazione della guardia di finanza dove si legge: “Dalla lettura delle intercettazioni ambientali effettuate dai carabinieri (nel 2017, ndr), emerge un chiaro riferimento ai presunti pagamenti della famiglia Sempio nei confronti dei legali di fiducia”, tra cui l’ormai ex difensore Massimo Lovati. Fin qui il circo mediatico attorno all’omicidio di Chiara Poggi.
Ma la vicenda di Lovati porta fino a Reggio Calabria dove il 9 ottobre scorso l’avvocato si sarebbe dovuto recare per testimoniare nel processo “Ndrangheta Banking”. Si tratta di un procedimento penale nato da un’inchiesta che ha portato a diversi arresti nel 2014 quando sono finiti in carcere alcuni indagati legati alle cosche Pesce-Bellocco di Rosarno e Condello di Archi che avrebbero attuato “un lento e graduale processo di ‘aggressione’ del patrimonio mobiliare e immobiliare di soggetti appartenenti all’imprenditoria milanese”. Al centro di questo sistema c’era Gianluca Favara, già condannato per concorso esterno. Secondo gli investigatori, si tratta di un personaggio che avrebbe utilizzato denaro proveniente dalle attività illecite delle cosche calabresi (estorsioni, appalti, droga) e lo avrebbe investito “in operazioni immobiliari e in attività di usura”.
Gli inquirenti non sono sempre riusciti a “stabilire in maniera univoca gli importi oggetto dei vari finanziamenti” e, di conseguenza, la mancata determinazione dell’interesse praticato, a volte ha portato alla contestazione solo del reato di esercizio abusivo del credito. Tra i “finanziati” (ma non usurati) c’era l’avvocato Massimo Lovati che non si è presentato in aula inviando una giustificazione (per “impegni professionali”) al sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria Sara Amerio che aveva chiesto la sua testimonianza.
Il Tribunale ha rinviato l’udienza al 18 dicembre quando Lovati dovrà presentarsi e deporre in merito a una vicenda di 16 anni fa e, in particolare, sulla posizione degli imputati che hanno scelto il rito ordinario e che ancora sono sotto processo. Tra questi non c’è Gianluca Favara che è stato già condannato in via definitiva a 13 anni e 10 mesi di carcere. Anche per il capo di imputazione “M” dove si legge che nell’ottobre e novembre 2009 Favara “prestava denaro a Massimo Lovati per un importo imprecisato con restituzione di euro 6000”. Un prestito per il quale ci sarebbe stata la mediazione di altri personaggi che hanno messo in contatto i due (Favara e Lovati) e che “garantivano per la restituzione del debito”.
Uno di questi al telefono dice: “Dovresti chiamarlo perché ti deve presentare una persona solida”. Era l’avvocato Lovati. Al suo nome gli investigatori arrivano grazie alle intercettazioni da cui “si evince che, dapprima, il Lovati aveva rilasciato al Favara alcuni assegni a copertura e garanzia del prestito ricevuto; poi il Favara aveva dato incarico ad una persona di sua fiducia di negoziare i titoli bancari”. Operazione questa che non è “andata a buon fine per difetto di provvista”. In altre parole, gli assegni di Lovati erano ‘cabriolet’: “Nel tentativo di rendere innocui gli effetti della transazione bancaria”, si era rivolto al negoziatore dei titoli scoperti e non al suo effettivo creditore, cioè lo stesso Favara che il 9 novembre 2009 chiama il mediatore che gli aveva presentato il professionista bisognoso di denaro e si lamenta: “Senti Paolo (l’interlocutore, ndr) – dice – vedi che c’è l’amico tuo, l’avvocato…. È due o tre volte che sta chiamando la persona che ha versato gli assegni, dicendogli che non può pagarli. Io non sono abituato a queste cose… Paolo! Siete venuti da me, mi avete chiesto una cortesia, ve l’ho fatta… l’avvocato sta chiamando la persona dove sono stati versati gli assegni…. che ha delle difficoltà, che bisogna richiamarli, che non bisogna…. Già in prima presentazione sono andati male… ora l’avvocato come si permette a chiamare la persona? Eh… l’avvocato non sa se sono i miei gli assegni o se sono tuoi o di un’altra persona. Sta chiamando le persone sbagliate! Il proprietario io sono dei soldi! … e con me deve parlare l’avvocato!… che vada a pagare gli assegni perché io non glieli ritiro!”.
Dopo pochi minuti il rimprovero arriva a destinazione e il mediatore richiama Favara per tranquillizzarlo: “Ho parlato con l’avvocato e gli ho fatto anche un discreto ‘culo’. Si è scusato…. Per il suo bene soprattutto… mi auguro per lui che possa pagare così non ha poi strascichi…di nessun tipo. Altrimenti mi dai tempo al massimo fine settimana, lunedì ti do io i soldi con gli interessi e le spese che ci sono state e quella roba qua!”. Due giorni dopo i soldi non arrivano ed è lo stesso Favara che chiama Lovati: “Io sono quello dell’assegno”. “Si guardi, purtroppo…. Spero la settimana prossima di provvedere”. Non è stato così ma nel frattempo l’avvocato era riuscito a vendere un ramo di un’azienda, la ‘Compumaint’, “incassando – scrivono i pm – un assegno che gli avrebbe permesso di onorare sia il debito che gli ulteriori interessi applicati per il ritardato pagamento di un mese”. Passa un’altra settimana e Lovati chiama Favara non per restituire il prestito ricevuto ma per dirgli “di aver versato l’assegno, provento della vendita del ramo d’azienda, presso una banca di Segrate”: “Ci hanno detto che fino a lunedì non ci danno il libretto degli assegni”. All’ennesimo rinvio di Lovati, l’uomo vicino ai clan calabresi si irrita: “Avvocato, ma tu a me i soldi mi devi dare! Non mi devi dare assegni”.
Il 30 novembre il legale salda finalmente il suo debito di 6mila euro ma dopo due settimane, il 15 dicembre, telefona nuovamente a Gianluca Favara: “Sono l’avvocato Lovati… ascolti… io avrei bisogno un piccolo prestito… alla mia compagna… mi servirebbero subito”. “Quanto ti serviva, 3mila?… chiamami stasera e ti dico”. La risposta in realtà arriva l’indomani: “Avvocato non posso fare niente io. In questo momento non ho possibilità… Sono in Calabria, non sono neanche a Milano… l’altra volta t’ho favorito, ora non riesco”. Scrivono i pm della Dda di Reggio Calabria: “Lovati resta talmente soddisfatto del servizio conclusivo da richiedere al Favara un nuovo prestito anche in epoca successiva, ancorché costui glielo neghi con la scusa della sua assenza dalla Lombardia, ma verosimilmente dubitando dell’affidabilità del chiedente nella restituzione del dovuto”. Una storia borderline che l’avvocato, conclusi i suoi “impegni professionali”, dovrà ricostruire il 18 dicembre prossimo in aula a Reggio Calabria rispondendo alle domande del sostituto procuratore della Dda Sara Amerio.
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