‘Malizia Christi’ di Davide Cortese, un inno alla meraviglia filosofica

  • Postato il 19 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Come di consueto, per i miei venticinque lettori manzoniani, torno a segnalare su queste colonne gemme nascoste del panorama culturale contemporaneo. Oggi esploriamo il filone occulto di autori italiani che riescono a concordare gli opposti, non solo nello stile ma soprattutto nella visione mistico-filosofica. Autori in grado di parlare di temi spirituali, di conoscere la tradizione esoterica, senza per questo cedere a goffe e anacronistiche proiezioni nostalgiche.

In passato, in diverse sedi oltre a questa, ho parlato di due romanzi diversamente notevoli: Anche se fosse vero di Davide Antonio Pio (Il ramo e la foglia), raffinato romanzo d’ispirazione cabalistica in un’oscura Venezia metafisica; Lo Splendore di Pier Paolo Di Mino (Laurana editore), opera grande e ambiziosa, in cui il richiamo alla mistica ebraica è pilastro della costruzione stessa dell’opera (finora è uscito solo il primo volume, L’infanzia di Hans).

Oggi vi parlo di un terzo libro di considerevole interesse per l’ispirazione originale e lo stile non conforme alle mode attuali: Malizia Christi di Davide Cortese (Edizioni Croce).

Il romanzo, uscito nel 2024, è stato giustamente definito da Valerio Ragazzini su Pangea un “wunderbuch, un libro delle meraviglie”: “Qualcuno lo ha definito gotico, ma qui troviamo suggestioni di un fantastico latino, come quello di Borges e Calvino, per citare i primi che saltano agli occhi.”; secondo me si ritrovano anche Mikhail Bulgakov e, vista l’immaginaria ambientazione britannica, anche quell’”elogio dell’invenzione sfrenata”, come nel titolo della breve ma centrata recensione di Ragazzini, tipico delle grandi narrazioni settecentesche di Laurence Sterne (senza Vita e opinioni di Tristam Shandy Gentiluomo, e le sue infinite digressioni surreali, non avremmo avuto Joyce) e Jonathan Swift, ma anche di Diderot in Jacques il fatalista e il suo padrone.

Difficile riassumere un libro così complesso, stratificato, splendidamente fuorviante in una trama sintetica: una fiaba filosofica in cui i temi del Doppio, dell’invenzione creativa come trasfigurazione del grigio reale, dello stupore infantile come via mistica, della menzogna e dell’arte si sovrappongono in un caleidoscopio giocoso quanto sapiente. Anche qui, evidenti i richiami alla Gnosi e alla Qabbalah.

L’autore Cortese, per definizione, ha avuto la gentilezza di concedere indizi macroscopici per ricostruire il mosaico di omaggi e citazioni presenti nel libro, creando nei nomi dei personaggi una mappa di riferimenti.
Nella immaginaria città inglese di Debrama (“Debra” è “ape” in ebraico, simbolo esoterico di operosità e sapienza), seguiamo le vicende rocambolesche di figure straordinarie: Adam Babelsberg, a 5 anni già autore di una celebre autobiografia (non c’è bisogno di avere una cattedra in filologia biblica per capire il doppio gioco di parole presente nel nome e nel cognome del personaggio); una diva del cinema muto che sembra fuggita da Sunset Boulevard (Maeva Westwood, con evidente richiamo all’autrice di una delle più divertenti battute sull’imbarazzo maschile); il pittore Adrian Malick, ossessionato dall’ombelico di Adamo e dall’”errore” di Michelangelo nel rappresentarlo (ridondante alludere anche qui al sotteso simbolismo); il ventriloquo Will Elsewhere e il corvo Murnau (c’è bisogno di spiegare?); il poeta centenario Donato Marradi (omaggio splendido al mai troppo ricordato Dino Campana); la marchesa Yvonne de Saint Jacques e i suoi gemelli Timo e Teo, assieme a molte altre apparizioni nel racconto (tra cui un enorme orso di pezza).

Renzo Paris nella sua prefazione evoca, ovviamente Calvino e soprattutto Borges (il Biblirinto in cui Adam cerca libri inesistenti sembra un’intuizione dello scrittore argentino prestata a Gianni Rodari), chiudendo però con una intelligente nota sulla “leggerezza palazzeschiana”.

C’è anche molto altro: il finale, che non rivelo, sembra quasi un rovesciamento di Pinocchio, non dal punto di vista del simbolismo iniziatico, ma della necessità vitale di rimanere residenti nell’Altrove, nell’immaginazione come unica realtà, al cospetto del grigiore stordente dello squallore quotidiano.

Guccini, altro amante di mondi borgesiani e swiftiani, in una sua invettiva sentimentale sentenziava: “La fantasia può portare male se non si conosce bene come domarla”. Davide Cortese sa come domarla, ovvero cavalcandola con grazia, donandoci un romanzo strabiliante e letteralmente meraviglioso, degno erede dei grandi creatori di mondi poetici del Novecento.

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Autore
Il Fatto Quotidiano

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