“Macbeth” apre la nuova stagione di AMA Calabria, in scena Daniele Pecci e Sandra Toffolatti

  • Postato il 17 ottobre 2025
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“Macbeth” apre la nuova stagione di AMA Calabria, in scena Daniele Pecci e Sandra Toffolatti

Daniele Pecci e Sandra Toffolatti portano in scena “Macbeth”, spettacolo che inaugura la nuova stagione di AMA Calabria. Nella nostra intervista, l’attrice racconta una Lady Macbeth umana e inquieta, sospesa tra potere, crudeltà e fragilità.


CATANZARO – C’è un momento, nel buio del teatro, in cui la parola diventa incantesimo e la scena si trasforma in coscienza. È lì che Macbeth prende vita: un uomo dilaniato dal desiderio, una mente che cede al richiamo del potere, un’anima che si perde nella spirale della colpa. È lì che Shakespeare affonda il coltello nel cuore dell’umano, rivelando quanto fragile e feroce possa essere l’ambizione quando diventa destino. Con la prima nazionale assoluta di “Macbeth”, AMA Calabria inaugura la sua nuova stagione ponendo l’essenza stessa del teatro al centro della scena: il confronto con l’oscurità, la vertigine morale, la tragedia che specchia l’uomo nel proprio abisso. A guidare questa discesa negli inferi del potere, Daniele Pecci, nella duplice veste di regista e protagonista, e Sandra Toffolatti, interprete di una Lady Macbeth insieme spietata e fragile, simbolo eterno della complicità e della rovina.

L’opera andrà in scena venerdì 17 ottobre al Teatro Grandinetti di Lamezia Terme e sabato 18 ottobre al Teatro Comunale di Catanzaro, entrambi gli spettacoli con inizio alle ore 21. Un doppio appuntamento che segna l’inizio di una stagione ambiziosa. L’intera compagnia è a Lamezia Terme da una settimana per la fase finale delle prove. Ospitare l’allestimento e il debutto assoluto in Calabria è una scelta simbolica e strategica. L’obiettivo? Superare le barriere geografiche e dimostrare che la qualità, la ricerca e la produzione artistica di alto livello possono prosperare anche nel cuore del Sud.

Tra le figure più complesse e magnetiche del teatro shakespeariano, Lady Macbeth è il cuore pulsante della tragedia. Sandra Toffolatti ne offre un ritratto umano e inquietante, in equilibrio tra crudeltà e vulnerabilità. Una lettura intensa che rifiuta il cliché della “donna crudele” per restituire la complessità di un’anima che si sgretola. La Lady Macbeth di Toffolatti è, insieme, carnefice e vittima del proprio desiderio di dominio. Il dialogo artistico tra Pecci e Toffolatti nasce da una profonda affinità di linguaggio e sensibilità che dà vita a una coppia scenica di straordinaria intensità, capace di rendere palpabile la tensione tra eros e potere, tra amore e distruzione. Un equilibrio delicato tra disciplina e libertà, tra forma e verità, che promette di trasmettere tutta la tensione emotiva e simbolica del testo.

L’impianto scenico firmato da Carmelo Giammello restituisce in pieno l’atmosfera esoterica e la potenza visiva della tragedia. L’allestimento, dal respiro classico ma di grande forza simbolica, promette di travolgere il pubblico con un’esperienza teatrale immersiva, in cui il nero diventa colore dell’anima e il silenzio spazio del destino. Macbeth non è solo una tragedia sul potere: è una meditazione sull’uomo, sulle ombre che ognuno porta dentro, sull’abisso che si apre quando il desiderio travolge la ragione. Per saperne di più, abbiamo intervistato Sandra Toffolatti.

Sandra Toffolatti, come ha affrontato la preparazione del personaggio? In che modo ha cercato di rendere la follia e la vulnerabilità del personaggio, senza cadere negli stereotipi della donna crudele?

«La parte più difficile è quella iniziale, quando Lady Macbeth sembra graniticamente immersa nel male. È una figura misteriosa, priva di dubbi, mentre il marito è già tormentato. Solo alla fine la vediamo impazzire, come se Shakespeare volesse dirci che il male ottenuto con la prevaricazione, il sangue, l’assoluto interesse personale non porta mai felicità. Emergono la paura, l’insoddisfazione, l’autodistruzione. Lady Macbeth si completa e si comprende nella coppia e nell’amore con il mare. In uno strano ribaltamento di ruoli, Shakespeare regala a Lady Macbeth il coraggio assoluto, il desiderio di potere e lei accusa il marito di non essere abbastanza uomo, di non essere sufficientemente coraggioso. C’è questo ribaltamento contro natura. All’inizio, lei fa un’invocazione agli spiriti del male in cui chiede di essere snaturata: toglietemi il sesso e riempitemi della più spietata crudeltà, affinché non possa provare empatia per il prossimo. E’ molto difficile da interpretare».

C’è un momento specifico della tragedia in cui sente che Lady Macbeth “le parla” più da vicino?

«Quando viene invasa dalla paura, dalla coscienza e consapevolezza che quello che ha fatto non può più essere disfatto e, quindi, dalla colpa, dal rimorso. Qui, la sento più vicina. Cosa voglia dire veramente fare un patto col demonio e chiedere di essere riempita della più spietata crudeltà è più misterioso e complicato da rendere».

Pecci ha una visione registica molto precisa: quanto spazio c’è stato per la libertà interpretativa personale?

«Daniele Pecci è un regista umile e preciso, ma lascia grande libertà all’attore. È come se volesse che ciascuno custodisse un segreto: diventare tramite tra Shakespeare e lo spettatore».

C’è stato un momento durante le prove in cui la relazione tra Macbeth e Lady Macbeth vi ha sorpresi o rivelato qualcosa di nuovo sul testo?

«Abbiamo lavorato molto sull’amore che lega Macbeth e Lady Macbeth, su come dentro lo stesso sentimento possano convivere crudeltà e tenerezza, oscurità e innocenza. Prima di affrontare il personaggio, pensavo si trattasse di una donna tutta d’un pezzo e, invece, ogni tanto spunta fuori un sorriso inaspettato».

Macbeth è una tragedia impregnata di oscurità, potere e suggestioni esoteriche. Come si è tradotta questa atmosfera nella scenografia?

«La scenografia è imponente e buia. Muri che si muovono, un portale di ferro che si chiude, un grande tavolo, sedie. Ricorda un castello, ma anche una prigione. Sopra, un cielo che si tinge di rosso e blu: un luogo arcaico, chiuso e aperto insieme, dove si consumano battaglie, si incontrano streghe, soldati a cavallo».

Sandra Toffolatti, non è la prima volta che interpreta Lady Macbeth. Com’è cambiata la sua percezione del testo di Shakespeare?

«L’ho interpretata circa venticinque anni fa, con la regia di Marco Bellocchio e Michele Placido nel ruolo di Macbeth. Allora ero una Lady Macbeth più giovane, quasi una sposa bambina. È stata un’esperienza bellissima, e trovo stupefacente come, a distanza di tanti anni, lo stesso testo possa rivelarsi completamente diverso.

Oggi la mia percezione è cambiata profondamente: leggo Shakespeare meno con il cervello e più con il cuore. In Macbeth non c’è soltanto il tema dell’ambizione e del male, ma in filigrana scorre anche quello della maternità. È una coppia senza figli, eppure Lady Macbeth dice: «Ho allattato, e so com’è tenero il bambino che succhia al seno, ma avrei potuto strappargli la testa». Quella frase racchiude un abisso. Lei ha avuto un figlio, di cui non si sa nulla — probabilmente morto.

Macbeth stesso dice: «Le streghe hanno messo su di me una corona sterile». E la sua furia lo porta a sterminare i figli di Macduff, un altro personaggio meraviglioso. Venticinque anni fa io non avevo un figlio; oggi sì. E questo cambia tutto. Alcuni monologhi di Macbeth, allora, non li avevo davvero compresi. Oggi, invece, mi risuonano dentro in modo completamente diverso».

Dopo tanti ruoli e interpretazioni, cosa la affascina del teatro rispetto ad altri linguaggi artistici?

«Mi sorprende ogni volta qualcosa di nuovo, e provo una grande gratitudine per poter continuare a fare questo mestiere. Non affrontavo da tempo un allestimento fuori Roma, e questa esperienza mi ha riportato a sensazioni del passato, come un piccolo regalo inatteso. Non conoscevo Daniele Pecci, e sono davvero felice di lavorare con lui. È una compagnia splendida, con attori bravissimi. Rispetto al cinema e alla televisione, il teatro chiede una presenza totale, dal vivo, davanti alla gente. C’è la curiosità di scoprire, sera dopo sera, cosa nascerà tra gli attori in scena e il pubblico: ogni volta è diverso.

Il teatro non è mai un viaggio in solitaria, ma un viaggio di gruppo. Questa, per me, è la cosa più bella. Amo il lavoro di squadra: con la sarta, il direttore di scena, il regista, i tecnici, i colleghi. Ogni volta è un’esperienza nuova, anche con la paura e la grande responsabilità che inevitabilmente sento».

Sandra Toffolatti che messaggio sente di lasciare al pubblico calabrese che assisterà alla prima di Macbeth?

«Credo ci sia, prima di tutto, la possibilità di ascoltare un illuminato: uno dei più grandi drammaturghi di sempre. Ogni volta mi chiedo come abbia potuto un solo uomo comprendere, in una vita, tutti i meccanismi che muovono l’essere umano — l’uomo, la donna, l’amore, il potere, il male. In “Sogno di una notte di mezza estate”, Shakespeare racconta con poesia e meraviglia cosa accade all’amore quando si è giovani; in Macbeth indaga invece il lato oscuro dell’animo umano, il male che nasce dal desiderio di potere. E mai come oggi, in un momento storico dominato da arrivismo, assenza di empatia e perdita di valori morali, questo testo risuona profondamente.

Quello che accade nel mondo — penso, ad esempio, a Gaza — è qualcosa che sentiamo vicino ogni sera, mentre siamo in scena. Ci interroga come artisti e come esseri umani. Se chi guarda o chi recita riesce a porsi davanti a queste parole con la meraviglia e l’ascolto che meritano, allora Shakespeare diventa uno specchio. Ci ricorda che anche tra me e il peggior assassino esiste comunque un fondo di umano, una stessa natura: in noi convivono Dio e le streghe di Macbeth».

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