Furti di rame dai cavi di ricarica, auto elettriche nel mirino dei ladri

  • Postato il 17 ottobre 2025
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  • Di Virgilio.it
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I furti di rame alle colonnine di ricarica sono diventati un problema sistemico. Dietro, non vi sono reti sofisticate di criminali, ma perlopiù piccole bande, alla ricerca di una somma facile, sufficiente a coprire una giornata. I ladri tagliano i cavi e portano via il rame, lasciando a terra una colonnina fuori uso, determinando seri disagi agli utenti e ai fornitori delle stazioni, con inevitabili costi a carico dei gestori della rete.

Quanto vale il bottino

Il rame contenuto in una singola colonnina può andare dai 12 ai 20 chilogrammi, in base al numero di prese installate. Al prezzo medio del rottame – circa 8 euro al chilo – si oscilla tra i 96 e i 160 euro, e anche se sul mercato nero è possibile spuntare qualcosa in più, il tornaconto economico rimane comunque modesto. Sul fronte opposto, il danno a carico degli operatori risulta significativo, tra la riparazione della colonnina, il recupero dei pezzi di ricambio, i permessi, la remunerazione di personale specializzato e, a volte, il rifacimento dell’intero distributore.

Oltre alla spese dirette, anche l’immagine viene danneggiata. Un erogatore non funzionante viene automaticamente escluso dalle abitudini dell’utente, che sceglie alternative più affidabili o addirittura rinuncia temporaneamente all’elettrico per tornare al carburante tradizionale. Il mancato incasso può arrivare a diverse centinaia di euro al giorno, e i costi di ripristino possono variare da poche migliaia a decine di migliaia, a seconda dell’estensione del danno e della complessità dell’intervento.

Alcuni gestori, tra cui Tesla, stanno iniziando a reagire. Sperimentano soluzioni miste, in parte tecnologiche, in parte fisiche come cavi con GPS integrato che inviano la posizione ogni pochi secondi, guaine anti-taglio con traccianti indelebili, videocamere di sorveglianza specifiche, marcatori chimici inseriti nel metallo per identificarne la provenienza. Seppur utili, gli strumenti adottati non sono definitivi, perché la malavita ha ormai imparato a bypassarli tramite furgoni schermati, che coprono i dispositivi con materiali conduttivi per neutralizzare i segnali, indossando caschi e maschere per non essere riconosciuti.

Le risposte al problema

Il furto di rame funziona perché esiste un mercato disposto ad acquistarlo senza fare troppe domande. Il ricettatore è spesso il vero anello che tiene in piedi il sistema: compra a poco, rivende con un margine, e rende sostenibile un crimine che altrimenti non varrebbe il rischio. Anche per questo si discute di stringere la normativa attorno alla compravendita di rottami, fissando precisi obblighi di registrazione per ogni carico e tracciabilità obbligatoria.

Tra le soluzioni messe sul tavolo torna ricorrente la sostituzione del rame con l’alluminio, poiché quest’ultimo vale molto meno (circa 0,4 euro al chilo) e fa di conseguenza meno gola sul mercato nero. Ma il cambio di materiale comporta compromessi e spese di conversione cospicue. I player della filiera suggeriscono dunque un pacchetto di disincentivi tecnici, in cui si interviene sulla filiera di riciclo, in caso contrario le nuove protezioni rischiano di rivelarsi un palliativo.

Finché il rame resta facilmente commerciabile, il furto continuerà a essere conveniente. L’unico modo per arrestare il fenomeno è togliere valore al bottino: se chi ruba non ha un giro dove piazzare il metallo, l’intera catena si rompe, ma per riuscirci serve un intervento congiunto.

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Virgilio.it

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