L’Italia non potrà mantenere la promessa del 5%: siamo imbattibili per ipocrisia e opportunismo

  • Postato il 26 giugno 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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La Nato a guida Mark Rutte ha deciso di accogliere la proposta di Trump di aumentare la spesa militare dei singoli paesi al 5% del Pil. Si tratta di un incremento straordinario, ben superiore a quel 2% deciso nel 2014. Questa decisione solleva moli problemi, alcuni generali e altri che ci riguardano da vicino.

La prima questione è naturalmente quella delle ragioni misteriose della scelta di una soglia così alta. Oggi non è rispettata da nessuno dei Paesi Nato e gli stessi Usa hanno una spesa militare attorno al 3,8% del Pil. Il Paese che spende di più è la Polonia con il 4,1 % del Pil. Se poi qualcuno fa presente che la Russia spende circa il 7% del suo Pil per la spesa militare, e che dunque anche noi dovremmo incrementare la quota, la risposta è che l’economia russa è una frazione di quella dei paesi Nato. Ciò significa che in termini assoluti la Nato spende molto di più. Anzi, per pareggiare la spesa russa la quota Nato dovrebbe certamente diminuirla e non aumentarla. Ancora una volta le cifre si mostrano molto insidiose.

La seconda questione riguarda la velocità di crescita della spesa militare. Il punto di partenza è il vertice nel Galles del 2014 nel quale si deliberò che tutte i 32 paesi aderenti all’Alleanza avrebbero dovuto portare la quota della loro spesa militare al 2% del Pil. A distanza di appena dieci anni si chiede di aumentare questa spesa del 150% per accontentare l’amministrazione Trump. Questa è una circostanza curiosa. Il Presidente americano ha sempre disprezzato la Nato, ma oggi è riuscito ad imporre una scelta che asseconda passivamente le sue ambizioni militariste e guerrafondaie.

Quali le conseguenze per l’Italia? La premier è piuttosto ottimistica e ha definito la scelta italiana di allinearsi alla decisione Nato realistica e credibile. Si tratta delle bugie tipiche di ogni premier oppure c’è del vero? L’esperienza del passato insegna qualcosa per cui possiamo dire senza tema di smentita che Meloni sta spargendo molto incenso sull’altarino della demagogia. Guardiamo le cose più da vicino servendoci delle statistiche della Nato e risulterà facile smascherare la retorica governativa.

Quando si è deciso nel 2014 di portare la spesa militare al 2% del Pil, l’Italia era ampiamente lontana da questo valore, pari all’1,1%. Nel 2024 la spesa è risultata pari all’1,5%. In effetti l’Italia è uno degli otto paesi Nato che sta ancora sotto l’asticella. Quindi in dieci anni, l’Italia ha incrementato la spesa di pochissimo. Per arrivare al 5% occorrerebbe aumentarla di tre volte nel prossimo decennio. Se poi guardiamo alle cifre assolute, la situazione per l’Italia si fa ancora più critica. La spesa militare nel complesso è stata per il 2024 di 31,3 miliardi. Gli importi poi sono stati aumentati di circa 3 miliardi l’anno per i due anni successivi, proprio per raggiungere la soglia del 2%. Se questi sono i dati di partenza, portare la spesa militare al 5% del Pil significherebbe un incremento assoluto di circa 60-70 miliardi. Missione impossibile per un’economia ultra indebitata e zoppicante come quella italiana.

Si verificherebbe poi una circostanza molto evocativa e densa di significato. Nel 2014 la spesa militare valeva appena un quarto della spesa per l’istruzione, allora attestata saldamente al 5% del Pil. Se si arrivasse alla soglia del 5% la spesa in armi dell’Italia realizzerebbe uno storico sorpasso, e supererebbe di gran lunga la spesa per l’istruzione, ora ferma al 4,1%, uno dei valori più bassi di sempre. Mentre da un lato gli edifici militari vengono dismessi, spesso per essere al servizio dell’istruzione, la spesa militare avrebbe la meglio sulla spesa per l’istruzione. Non credo che sarebbe un bel segnale per le generazioni future. La spesa per l’istruzione forma il capitale futuro ed è produttiva. La spesa militare è del tutto improduttiva, anche sul piano economico. Il caso dell’istruzione può essere esteso a tutti gli altri servizi pubblici, pensioni incluse. Quando i leader politici affermano a sproposito che i molti miliardi aggiuntivi destinati alla spesa militare non saranno tolti ai servizi dei cittadini, o non sanno quello che dicono o sono palesemente in malafede.

La Spagna è il paese che contribuisce meno alla Nato, 1,3% del Pil, e correttamente ha detto no al nuovo criterio per difendere gli interessi dei suo cittadini. Anche Meloni ha detto che vuole difendere gli interessi dei cittadini, ma ha detto sì. Chi ha ragione? Come nello sport, anche nelle strategie geopolitiche la Spagna ci è decisamente superiore per coerenza, coraggio, tutela degli interessi nazionali. Noi, come al solito, siamo imbattibili per ipocrisia e opportunismo. Abbiamo firmato, ma sappiamo che non potremo mantenere le promesse fatte.

Così l’Italia diventa un’italietta sempre più piccola, anche in tempi di sovranismo conclamato. Tentare di fermare, come ha fatto la Spagna, l’economia di guerra che sta avanzando piuttosto rapidamente non è di sinistra e nemmeno di destra, ma è un dovere civico di tutti. I politici che la sostengono, tutti, andrebbero isolati come si mettono in quarantena coloro che sono colpiti da virus malsani e infettivi.

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Il Fatto Quotidiano

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