Le infinite possibilità del colore: in dialogo con l’artista Alessia Armeni
- Postato il 28 luglio 2025
- Arte Contemporanea
- Di Artribune
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Artista, Alessia Armeni (Roma, 1975) si esprime prevalentemente con la pittura. Interessata alle possibilità della configurazione visiva e al potenziale del colore, si interroga sulla pittura, i suoi soggetti e l’atto del dipingere. Tra le sue ultime mostre si segnalano: Puntuactión (Istituto Italiano di Cultura, Mexico-city 2024), Il bacio della pantera (16Civico, Pescara 2024), Non mi avevi mai immaginato prima (Nube di Oort, Roma 2023); q.b(Kunsthalle Chiavari 2023). In questo dialogo affrontiamo alcuni dei principali aspetti della poetica di Armeni: il suo indagare la pratica artistica svolgendola, i modi di affrontare l’irrisoluzione del proprio lavoro artistico, l’attenzione per il colore e le sue potenzialità, la necessità di trovare un soggetto intrinseco alla pittura.

L’arte secondo Alessia Armeni. L’intervista
Fare arte per te è una questione fondamentale. Allo stesso tempo, mi sono fatto l’idea che attraverso la pittura tu ti impegni anche ad alimentare una continua interrogazione attorno alla tua pratica artistica.
Io penso dipingendo. Questo pensare pittorico è una commistione di pensiero logico, fisicità e reazione sensibile pennellata dopo pennellata. Dopo che ho dipinto tanto, mi fermo e mi prendo del tempo per riflettere sui quadri realizzati, su ciò che ho ottenuto attraverso di essi. Ogni quadro è una affermazione ma anche un avvicinamento a qualcosa che ancora non ho compreso del tutto. Un quadro chiama l’altro. Più dipingo e più nascono domande. Credo allora che tu abbia ragione, perché si tratta anche di movimenti per trovare risposte a tutto quell’interrogare, un avvicinamento per gradi a una vaga idea che si agita in me e che poi cerco di esprimere con la pittura. Ma questo è solo un lato del processo.
Che cosa vuoi dire?
Anche quando esco fuori dalla pittura, quando uso altri mezzi – per esempio realizzo video, conio nomi per colori, compongo oggetti – sto comunque riproponendo quella riflessione: mi interessa ragionare in modo astratto sull’atto di dipingere. E sono d’accordo, si tratta di una questione di base, o ‘fondamentale’ come dici tu, perché sono convinta l’interrogarsi sia proprio dell’arte.
La riuscita di questa tua indagine è affidata anche a quelle che credo siano delle sostituzioni: di soggetti, colori, dei confini tra astrazione e figurazione. Ma anziché essere un obiettivo, per te la sostituzione è una fase operativa funzionale al tuo lavoro.
Sì, mi piacerebbe riuscire a ottenere un cortocircuito con questi slittamenti, o sostituzioni. Cerco anche di mantenere viva una certa tensione. Per me un’opera deve far scattare qualcosa. Perciò tengo aperte altre vie di accesso al lavoro: oltre a quella palese, che potrebbe essere offerta dai soggetti rappresentati nel quadro, mi interessa riuscire a indicarne un’altra, spesso ciò avviene attraverso il titolo dell’opera. Ma qui c’è un punto che devo chiarire: nella sostituzione di cui parli, quella della pittura non è mai immediatamente una questione di figurazione o astrazione. Semmai a essere determinante è il fatto stesso che vi sia proprio quello spostamento.
Il tema che diventa centrale mi sembra essere anche quello della irrisoluzione.
Penso sia un tema centrale perché rivela che vi è sempre spazio anche per una sorta di insoddisfazione, che è una forma di attrazione, di fame. Questa è l’innesco che mi porta a fare un quadro dopo l’altro. Penso, infatti, che una certa fatica bisogna farla per arrivare a godere dell’opera, tanto da parte di chi la realizza, quanto da parte di chi la potrà osservare. Nel primo caso si tratta dello sforzo che deve compiere l’artista per realizzarla, nel secondo dell’impegno che ci mette l’osservatore per avvicinarsi all’opera. È come un piccolo dolore che si deve patire per avere poi in cambio il piacere dell’arte. Quella insoddisfazione penso sia alla base della partecipazione al lavoro.
Il colore e la figura secondo Alessia Armeni
Ciascuna tua opera può raffigurare qualcosa di più o meno riconoscibile. Eppure, tutte sono riconoscibili come le tue opere grazie a un elemento che non possiamo assolutamente tralasciare: il colore. Scegliendo di utilizzare le tue tonalità, frutti di un meticoloso esame del loro manifestarsi in rapporto alla luce, credo tu riesca ogni volta a dare nuova vita al colore.
Io tradisco il colore.
Tradire il colore per te non vuol dire farne a meno, ma servirtene altrimenti.
Esatto. E con ciò si torna di nuovo a quella sostituzione di cui parlavamo prima. Ma vuol dire anche assottigliarlo, farlo vivere attraverso micro spostamenti, creare un nuovo lessico del colore.
Consideriamo un momento anche la figura, per te è un elemento accessorio.
Non mi pongo proprio il problema. Ho sempre considerato il soggetto come un alibi. L’arte non deve dire ma suggerire, evocare, l’arte per me include l’enigma. E così essa, proprio come accade nella vita, può far convivere delle contraddizioni. Ad esempio ho sempre pensato che la mia fosse una pittura mentale. Poi, grazie ad una residenza da poco conclusa, nella quale ho sperimentato dimensioni più ampie per le opere, ho compreso che la mia pittura può anche essere corporea, fisica, non limitarsi ad essere colta solo attraverso la mente. E uno di quegli elementi che continua a farmi interrogare è esattamente l’enigma.
In alcune tue opere – penso a “Semplice crudeltà”, “Sgambetto”, “Nebbia quadrata” – risalta una possibilità in particolare, quella che hai di rincorniciare ciò che esse mostrano.
Quello che chiami ‘rincorniciare’ è il mio modo di riuscire a ottenere un quadro nel quadro. Ossia un modo per tornare a ragionare sulla pittura, e più precisamente sulla composizione. La chiave per riuscirsi è lo specchio, uno strumento che mi permette di riflettere sulla pittura e sul modo in cui la posso fare. Infatti più che come una finestra sul mondo, intendo il quadro come uno specchio nel mondo.
A questa tua idea del quadro come specchio si lega anche la scansione cromatica che porti avanti da anni, ossia la realizzazione di un gruppo di colori, i tuoi, che nascono dal tuo rapporto con la realtà.
In generale è così, perché parto sempre dalla realtà e poi mi metto al lavoro. Inizio con qualcosa che c’è nel mondo: uno spigolo, un dettaglio… Ma all’origine vi è un esercizio radicale che ho deciso di svolgere studiando in modo accurato una parete e come essa muti in relazione alla luce.
















Dimmi di più.
Circa sedici anni fa è arrivata l’esigenza di fare un esercizio radicale: mettermi di fronte a una parete bianca per ventiquattrore e allo scoccare di ogni ora cercare di catturare e campionare le sfumature determinate dalla luce su di essa; ossia provare a restituire quel bianco che viene riverberato dalla parete nelle sue diverse variazioni. Un esercizio che mi ha portata alla elaborazione di quello che potremmo dire sia un quadro astratto, composto da ventiquattro strisce che restituiscono altrettante tonalità di grigio.
Da questo esercizio è nato il tuo campionario cromatico.
Non solo. Perché quello svolto la prima volta non è stato l’unico esercizio, come mi ero preposta. Con il passare del tempo mi sono accorta della sua importanza per ampliare il mio sguardo e, per così dire, rigenerare la mia pittura. Quella analisi serrata sulla parete e le sue sfumature di luce è diventata una fase del mio lavoro basata sulla possibilità di compiere un azzeramento. Un passo decisivo perché mi è diventato sempre più chiaro che composizione e colore sono gli elementi che danno senso al mio dipingere.
A volte, però, il senso può essere contradditorio.
È vero, ma questo vale anche per la vita quotidiana. Perché ho sempre pensato che l’arte sia principalmente un lavoro sul senso, sulla possibilità di cogliere più sfumature, ciò che altrimenti sfugge alla comprensione logica. La contraddizione vive soprattutto nella costruzione tecnica, se penso al mio modo di lavorare a partire da una parete bianca, posso confermare questa intuizione. Compio una riflessione complessa sulle varianti del colore che proviene dalla esperienza della parete bianca: lavoro con la preparazione dell’opera attraverso una base di colore arancione che permette ai miei colori di risaltare ulteriormente. Perché solo così posso arrivare a creare una tensione e proprio da questa proviene il senso che avrà l’opera.
Perché proprio la parete bianca?
È qualcosa che conosciamo perché ci è familiare, c’è sempre nei luoghi dove viviamo, ma è anche la sede elettiva dei quadri. Il loro destino.Davide Dal Sasso
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