La transizione ecologica parla cinese: altro che dazi, accordi con Pechino sulle rinnovabili
- Postato il 9 settembre 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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“È assurdo pensare di mettere i dazi alla Cina o fare guerre commerciali con un Paese che da anni ha l’industria, i lavoratori, il know how, tutto ciò che ci serve per la transizione energetica. Semmai dovremmo sfruttare la loro efficienza, con accordi sempre più sistematici”. Attilio Piattelli, presidente di Coordinamento Free (Coordinamento delle Rinnovabili e dell’Efficienza), è netto: la transizione parla cinese, specie oggi che gli Stati Uniti stanno facendo, sul clima, battaglie di retroguardia.
Anche Averaldo Farri, esperto di innovazione, green e transizione energetica, concorda: “I dazi sono inutili. Con i livelli di predominanza su macchine, turbine, pannelli o inverter, con la Cina possiamo solo collaborare, fare la guerra è ridicolo. Sono pronti e radicati dentro tutti i cicli produttivi”.
I numeri cinesi sulle rinnovabili – I dati sono impressionanti. Il 2024 è stato un anno record: + 45,2% per il fotovoltaico (raggiungendo 886,67 GW) e + 18% per l’eolico (raggiungendo 520 GW) rispetto all’anno precedente. In pratica, nel 2024 la Cina ha costruito quasi il doppio della capacità solare ed eolica rispetto a tutti gli altri Paesi messi assieme. Pechino ha raggiunto i suoi obiettivi con sei anni di anticipo, con 1.406 GW, ben sopra i 1.200 dell’obiettivo 2030.
C’è poi un altro elemento che va ricordato. “La Cina così come è oggi l’abbiamo costruita noi”, spiega Farri. “In altre parole, c’era, per dirla semplice, l’esigenza di fare profitti e allora abbiamo pensato nel mondo occidentale che si potesse produrre tutto in Cina. La Cina ci ha messo a disposizione persone, territori, fabbriche. Inizialmente non c’era grande qualità né controlli, ma poi la Cina si è evoluta, ha cominciato a mandare i propri giovani a studiare nelle università europee e americane, ha formato ingegneri e economisti e il risultato è il Paese di oggi. Che non ci sarebbe se noi non avessimo avuto l’idea di poter vivere in una società finanziaria e di servizi senza manufatti. È successo lo stesso per tutti i settori industriali”.
L’ascesa cinese e la deindustrializzazione occidentale – “È così”, conferma Piattelli. “Siamo stati noi a favorire la delocalizzazione nei Paesi asiatici senza fare valutazioni corrette su quello che poteva essere l’impoverimento dell’industria occidentale. Rispetto alle rinnovabili in questi ultimi 10-15 anni il governo cinese ha investito con politiche di lungo respiro e stimolo alle imprese per favorire la ricerca e sviluppo e stimolare le produzioni industriali locali e il risultato oggi è che in Cina c’è grande know how sia per la produzione di moduli fotovoltaici, che per la realizzazione di turbine eoliche. Anche in campo elettronico, dove l’Europa ha mantenuto la leadership per molti anni, ora le aziende leader per la produzione di inverter e componentistica elettronica sono prevalentemente cinesi. Avevamo in Europa, America e anche in Italia fior di aziende che producevano componentistica elettronica ma adesso sfido a trovare un’azienda che produca un qualsiasi componente elettronico qui da noi, ci siamo illusi di poter guadagnare vendendo senza lavorare e non abbiamo capito che così avremmo perso progressivamente competenze e tutta la nostra manifattura di punta”.
Riportare queste filiere in Europa è difficilissimo, perché il divario sul livello di ricerca e sviluppo e sull’efficienza di produzione ormai e quasi incolmabile. E poi esiste, concordano gli esperti, anche il tema della reperibilità dei materiali strategici, molti dei quali sono divenuti monopolio dell’industria cinese.
Il dominio anche nall’automotive – Oggi un modulo cinese costa quasi la metà rispetto a uno europeo e un terzo rispetto agli Usa. La capacità produttiva di pannelli solari oggi in Cina è di oltre 1 TW, più del doppio di quanto il mondo chiederà ogni anno per i prossimi anni. Prezzi dimezzati e sovracapacità spinta hanno creato l’egemonia cinese sulle rinnovabili. Con prodotti di alta qualità ed elevata innovazione.
Infine, anche sul fronte automotive sono stati fatti identici errori. “Rispetto all’automotive non abbiamo compreso”, continua il presidente di Coordinamento Free, “che il mondo stava andando verso la mobilità elettrica. Fare politiche di retroguardia non aiuta e non aiutano i dazi, anche perché nel giro di pochi di anni arriveranno vetture di altissima qualità elettriche a 10/20.000 euro di prezzo e i dazi serviranno a poco”.
Soluzioni in Occidente? Joint venture con la Cina e investimenti in ricerca – Che politica industriale dovrebbe dunque fare l’Europa? Gli esperti non hanno dubbi. “Investire in ricerca e sviluppo, come ha fatto in questi anni la Cina, dove oggi la qualità è altissima e la manodopera non più sottopagata come un tempo”, afferma Farri. “L’Europa deve rimettersi in gioco unita, portare avanti politiche industriali coordinate a livello europeo e di lungo periodo per il rilancio di settori ora in forte difficoltà o quasi spariti, ipotizzando anche joint venture con aziende cinesi”, aggiunge Piattelli. E poi serve una barra nette sulle rinnovabili. “Da noi la politica ha sempre sbagliato sulle rinnovabili”, conclude Farri. “Abbiamo avuto governi tecnici che le hanno ammazzate, come il governo Monti, una presidente di regione 5Stelle che in Sardegna sembra non volerle. Ma sulle rinnovabili dobbiamo decidere. Possiamo anche stabilire che è giusto avere una mix energetico ma che se stabiliamo una quota per le rinnovabili, diciamo il 75%, ma occorre perseguirlo senza cambiare idea a ogni governo”.
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