La Prima Cena: 11 artisti danno vita alla visione di Luigi Pagliarini

Sembra l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci e in effetti ad essa si ispira l’opera andata in scena ad Ascoli Piceno lo scorso 12 giugno: una lunga tavolata al Chiostro dei Santi Pietro e Paolo ha visto riuniti 11 artisti provenienti da tutta Italia.

La Prima Cena: l’opera nata dalla visione di Luigi Pagliarini

“Siamo vittime di una inesorabile, monodirezionale, tendenza al disordine”, avrebbe affermato Luigi Pagliarini, pioniere di software art e robotica scomparso nel 2023, e vero ispiratore del progetto. La Prima Cena da lui immaginata, doveva essere invece la soluzione a tale destino di caos, di antagonismo tra arte e scienza: un simposio in cui l’umanità avrebbe incontrato la tecnologia, diretta armonicamente verso un obiettivo comune, da perseguire ciascuno con le proprie peculiarità e talento.

L’evento curato da Valentina Tanni, con la direzione scientifica di Ado Brandimarte, è stato proprio il frutto di un processo partecipativo e corale, in cui ogni artista ha portato la sua esperienza, sintetizzata in un’opera ‘seduta’ al tavolo de La Prima Cena.

Gli 11 artisti de La Prima Cena e la comunità

Ado Brandimarte, Luca Bertini, Benito Leonori, Aldo Becca, Alessandro Sciaraffa, Giorgio Cipolletta, Demian Battisti, Fabio Perletta, Iacopo Pinelli, Stefano Iampieri, Samuel Hernandez De Luca sono i partecipanti a La Prima Cena, uniti nel ricordo di Pagliarini e nell’interpretazione di un linguaggio collettivo che coinvolgesse la comunità.

L’intervento è stato infatti promosso da Melting Pro nell’ambito di SPACE Campo Parignano, format di rigenerazione creativa che stimola la produzione artistica partecipativa per la valorizzazione di territori e patrimonio.

Nella realizzazione de La Prima Cena, un ruolo chiave l’ha giocato la presenza attiva della cittadinanza, direttamente coinvolta nelle fasi preliminari di creazione e allestimento. 

La restituzione finale

Il 12 giugno, nell’atmosfera mistica del Chiostro in travertino, ha così avuto luogo un evento tra sacro e profano: come nell’ultima cena delle Sacre Scritture, attorno al tavolo, invece degli apostoli, c’erano tante opere, frutto dell’ingegno e della creatività di diversi artisti, mentre al centro, al posto di Gesù Cristo, erano di volta in volta chiamati a sedere avventori e visitatori.

Ognuno di loro ha potuto così immergersi in una dimensione presente e al contempo futura, dove l’ingegno del singolo si trasforma in intelligenza collettiva. 

Un esempio di arte corale: le parole della curatrice Valentina Tanni

Spiega la curatrice Tanni, che si tratta di: “Un percorso di sperimentazione incentrato sull’idea di coralità. Ma cosa significa produrre arte corale? Significa essere in grado di superare l’individualismo senza per questo annullare le peculiarità che ciascuno di noi custodisce, celebrando la ricchezza della diversità e valorizzando la capacità di lavorare insieme, intonare le proprie voci artistiche, proprio come accade in un coro. Così concepita, l’arte non arricchisce soltanto l’animo del singolo, ma funge anche da collante sociale ed emotivo tra le persone”.

E aggiunge: “Ogni artista porta al tavolo una forma di vita diversa: facendo coabitare scultura, robotica, performance e multimedialità. Sono tanti, inoltre, gli elementi interattivi e cinetici all’interno dell’installazione, elementi che chiedono a gran voce la partecipazione di chi guarda. L’arte corale, infatti, include anche le “voci” delle persone che incontrano l’opera, che la osservano, la attivano e stabiliscono con essa un rapporto fatto di azioni e gesti imprevisti”.

Roberta Pisa

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Autore
Artribune

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