La letteratura ha diritto di essere oscena: il processo a L’amante di Lady Chatterley 65 anni dopo

  • Postato il 1 novembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Un libro osceno, impubblicabile, da mettere al bando. Ci ha impiegato più di trent’anni il capolavoro di D.H. Lawrence L’amante di Lady Chatterley a circolare in forma integrale e libera. Di mezzo, pubblicazioni clandestine, sequestri e un processo – durato sei giorni e conclusosi il 2 novembre 1960 (giusto 65 anni fa) – passato alla storia come uno dei processi all’arte più famosi del Novecento, che ha sancito la fine della censura letteraria moderna in Europa.

Siamo in Gran Bretagna. L’opera di Lawrence – con al centro la storia d’amore passionale tra una donna dell’aristocrazia inglese, Constance Chatterley, e Oliver Mellors, il guardiacaccia della tenuta del marito – all’interno della quale l’autore aveva messo tanti elementi autobiografici, era stata appena data alle stampe dalla grande casa editrice Penguin books senza tagli e censure, 32 anni dopo la prima pubblicazione semiclandestina fatta dall’autore presso una tipografia fiorentina. Fino a quel momento, il libro era circolato in Inghilterra e negli Usa solo in versioni “espurgate” dalle parti più esplicite: per la morale vittoriana le scene di sesso erano troppo volgari, per le autorità religiose Lawrence aveva “glorificato l’adulterio” e “dissacrato il matrimonio”, pilastro dell’etica cristiana.

Anche la versione italiana stampata nel 1947 da Mondadori aveva subito il sequestro. Racconta Antonio Armano nel libro Maledizioni: “Dalla denuncia al sequestro passa solo una settimana, il tempo di leggere il romanzo forse non c’è ma le denunce di solito sono circostanziate per evitare l’incombenza. Il 29 aprile, un martedì, alle undici e mezza del mattino, il commissario di polizia Arturo Nappa, assistito dal maresciallo Ezio Medici, in giacca e cravatta e ben impomatato, si presenta alla Mondadori”. La colpa dell’editore non è aver venduto Lady Chatterley ma averlo stampato: “Per poter mantenere l’accusa contro di lui, occorre dimostrare che il romanzo del Lawrence non è opera d’arte: compito questo che bisogna subito dichiarare impossibile”, scriveva il magistrato Giovanni De Matteo (cattolico, ex pm a Salò). Questo il punto: l’opera di valore artistico si può ‘giudicare’ secondo le categorie della morale, della religione e del diritto comune?

Nel 1960 Penguin ci riprova e pubblica l’integrale: scrive l’Independent che “l’idea era di venderla a 3 scellini e 6 pence, lo stesso prezzo di 10 sigarette, per renderla accessibile ‘ai giovani e alla gente comune'”. D.H. Lawrence era morto da trent’anni e il suo romanzo circolava già ovunque in copie pirata. Lo Stato britannico non impiegò molto a bloccare tutto, di nuovo: nel giro di dieci giorni, tramite il Director of Public Prosecutions, Penguin viene citata in tribunale in base all’Obscene Publications Act, un provvedimento appena approvato che ampliava la normativa sulla censura letteraria contro le opere che tendessero “a depravare e corrompere le persone che potrebbero… leggerlo, vederlo o ascoltarlo” ma che introduceva un’eccezione che ne ridisegnava i contorni.

Gli avvocati della difesa, Jeremy Hutchinson e Gerald Gardiner, puntarono tutto proprio su questa riformulazione: “Se un’opera è pubblicata per il bene pubblico (per valore letterario, scientifico, artistico), non è oscena”. Sul banco dei testimoni si alternarono 35 professori di letteratura, autori, giornalisti, redattori, critici, editori ed esperti di educazione infantile, e quattro ecclesiastici anglicani: ognuno di loro dichiarò che il libro aveva crediti letterari sufficienti per ritenersi una pubblicazione d’interesse pubblico.

Questo schizzo fu disegnato da Hans Schmoller, che all’epoca lavorava per la Penguin Books, durante il processo a Lady Chatterley, svoltosi tra ottobre e novembre 1960 all’Old Bailey di Londra. Il diagramma mostra la disposizione dell’aula e le posizioni dei protagonisti principali (Creative commons, Wikipedia)

Nella sua arringa finale il pubblico ministero, Mervyn Griffith-Jones, invitò la giuria a “dare un’occhiata a pagina 258”. Lesse l’intero brano: la scena descritta è quella in cui Mellors sodomizza Connie in una “notte di passione sensuale”. Seppur scioccati dai dettagli espliciti del testo, non è chiaro quanti dei giurati compresero a fondo il significato di quel passaggio: il sesso anale eterosessuale tra coniugi era diventato illegale proprio in quel 1960. Fatto sta che neppure quella lettura bastò a far condannare il co-fondatore di Penguin, Allen Lane: la casa editrice (che nel frattempo aveva venduto migliaia di copie) fu dichiarata non colpevole e con lei il romanzo di D. H. Lawrence, finalmente liberato dalla censura. La letteratura ha il diritto di essere oscena.

“E’ l’unica cosa che non ti permettono, essere diretti e franchi nel sesso – scrive Lawrence in un passaggio di Lady Chatterley – Puoi essere sconcio quanto ti pare. Anzi, più sei sconcio nel sesso, e più ne vanno matti. Ma se credi nel sesso e non vuoi farlo diventare sconcio, allora ti stendono. E’ l’ultimo folle tabù che ci resta: il sesso come cosa naturale e vitale. Non lo accettano, arriverebbero a uccidere piuttosto che permetterti di accettarlo”. Già, perché quel che proprio non si può perdonare al romanzo – oltre all’erotismo esplicito – è un personaggio femminile incredibilmente emancipato, che con le sue scelte sfida le gerarchie sociali: Connie tradisce non perché idealizza l’amore romantico come Madame Bovary, lei ama chi la attrae intellettualmente ma accoglie il sesso come una conseguenza naturale e imprescindibile di quel trasporto, anche se – come per Mellors, e come per il bersagliere amante di Frida Lawrence, che ispira il libro – si tratta di un uomo di rango inferiore al suo.

“Voglio che uomini e donne possano pensare al sesso, profondamente, completamente, onestamente e in maniera pulita”, scrisse l’autore in A proposito di Lady Chatterley in risposta alle polemiche seguite alla prima pubblicazione. Non poteva sapere che il processo inglese al suo libro avrebbe fatto storia nella censura letteraria. Oggi resta attuale se si pensa a quanto sia ancora contrastato il rapporto della società con il corpo femminile e il piacere vissuto con lo stesso grado di libertà tra uomo e donna.

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