La Flotilla non è (solo) un corteo di barche, ma uno stress test su chi comanda davvero: le regole o la forza
- Postato il 2 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Fatti, in breve. Il 1-2 ottobre 2025 la Marina israeliana ha intercettato in alto mare (circa 70 miglia da Gaza) decine di imbarcazioni civili della Global Sumud Flotilla, con centinaia di attivisti e un carico simbolico di aiuti. I passeggeri sono stati trasferiti in Israele per l’espulsione. È l’ennesimo episodio di una prassi ormai consolidata nel Mediterraneo orientale.
Perché l’intercettazione è illegittima
Nel diritto dei conflitti armati in mare, un blocco navale per essere lecito deve essere dichiarato, efficace, non discriminatorio, proporzionato e — punto cruciale — non può privare i civili di beni essenziali, prevedendo canali umanitari sicuri. Questi requisiti sono raccolti nel San Remo Manual e nella prassi IHL. Se il blocco produce effetti eccessivi sui civili, degenera in punizione collettiva (vietata) e le sue interdizioni diventano illegittime. La Flotilla ha natura civile e umanitaria; intercettarla in acque internazionali, senza un rischio militare concreto e nonostante l’obbligo di facilitare aiuti, non supera il test di necessità e proporzionalità. La stessa Onu, nel precedente del 2010 (Mavi Marmara), ha rilevato violazioni gravi nella condotta di intercettazione; il dibattito “Palmer vs. HRC” non toglie che l’uso della forza e l’ostacolo all’accesso umanitario restino i punti deboli dell’argomentazione israeliana. A maggior ragione oggi, con esperti Onu che hanno chiesto protezione per passeggeri e passaggio sicuro, evidenziando i vincoli umanitari che gravano su chi impone il blocco.
Il punto politico-giuridico: due Stati “sopra” le regole
Negli ultimi anni — e con un’accelerazione degli ultimi 10 mesi — abbiamo visto due Paesi, Stati Uniti e Israele, delegittimare gli organi di garanzia del diritto internazionale.
– Corte penale internazionale (Cpi/Icc). È un tribunale permanente creato dallo Statuto di Roma (2002), con 125 Stati Parte. Giudica genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e aggressione; è complementare alle giurisdizioni nazionali (interviene quando gli Stati non vogliono o non possono giudicare). Questa è la sua legittimità e il suo mandato.
Gli Usa hanno sanzionato la Cpi. Nel 2025 la Casa Bianca ha emanato un ordine esecutivo che sanziona giudici e funzionari della Corte; misure poi ampliate dal Dipartimento di Stato in estate, sebbene un giudice federale abbia sospeso l’applicazione di parte dell’ordine. È un attacco frontale all’indipendenza della giurisdizione internazionale (ricordiamo il precedente del 2020, poi revocato nel 2021.)
Israele rifiuta la giurisdizione della Cpi e ha ostacolato apertamente le sue attività dopo le ordinanze di arresto contro i vertici politici e militari israeliani (2024). Anche Washington ha definito “oltraggiose” le decisioni della Corte.
– Sanzioni personali contro un mandato Onu. Il 9 luglio 2025 gli Usa hanno sanzionato Francesca Albanese, Relatrice Speciale Onu sui diritti umani nei Territori Palestinesi occupati — un fatto senza precedenti, denunciato da giuristi e Ong come un pericoloso precedente contro l’indipendenza dei mandati Onu; Israele l’aveva già dichiarata persona non grata nel 2024.
– Disprezzo per la Corte internazionale di giustizia (Cig/Icj). Nel caso Sudafrica vs Israele, la Cig ha adottato misure provvisorie (incluso l’ordine del 24 maggio 2024 di sospendere le operazioni a Rafah). Le contestazioni di inadempienza si sono moltiplicate. Un sistema di garanzie vale poco, se gli Stati più potenti lo ignorano.
Per me, che ho scelto il diritto come bussola — dai miei studi in giurisprudenza ai ruoli istituzionali — tutto questo è inaccettabile. È pericoloso perché scardina i freni e contrappesi che abbiamo costruito dopo la Seconda guerra mondiale. Ed è deleterio perché manda un messaggio chiaro: la legge dell’uomo forte vale più delle regole.
L’Europa? In arretramento
In questi mesi ho visto un’Europa abbassare la voce sul rispetto delle decisioni delle Corti internazionali e accettare che la Cpi venga delegittimata. Sul piano interno, il quadro regolatorio — anche sulla sostenibilità — si fa più incerto mentre negli Usa si prova persino a smontare l’architrave climatica (l’Endangerment Finding Epa del 2009, base legale per limitare i gas serra): la proposta di revoca è ufficiale. Se passa, l’effetto domino sul diritto ambientale globale è scontato.
Se accettiamo che due Stati possano sanzionare giudici, zittire relatori Onu, ignorare ordini di Corti internazionali e fermare navi civili in alto mare che portano aiuti, allora non esiste più uno Stato di diritto internazionale: esiste solo il potere di chi può. E noi, cittadini, torniamo a essere sudditi.
Io non ci sto. Chiedo che il mio Paese e l’Europa:
– Difendano apertamente Cpi e Cig come pilastri del sistema;
– Condannino l’uso di sanzioni contro funzionari di Corti e mandati Onu;
– Pretendano il rispetto degli obblighi umanitari nei blocchi navali e la protezione effettiva delle missioni civili;
– Rafforzino (non indeboliscano) le regole sul clima e sulla sostenibilità, perché certezza del diritto significa anche certezza degli investimenti e del lavoro delle imprese.
La Sumud Flotilla non è (solo) un corteo di barche: è uno stress test su chi comanda davvero — le regole o la forza. Oggi il verdetto è amaro. Ma non è scritto nella pietra: dipende da noi. Sta a noi resistere alla tentazione di pensare che tutto questo sia troppo grande per noi e che non ci sia nulla da fare. Ora e sempre, resistenza!
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