La doppia debolezza dell’Unione Europea e del dollaro che rischiano di farsi male

  • Postato il 28 agosto 2025
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La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha sostenuto, con grande enfasi, che “l’accordo raggiunto con l’amministrazione americana è un accordo forte, seppur imperfetto”, e che “l’accordo è una realtà deliberata, la scelta della stabilità e della prevedibilità rispetto a quella dell’escalation e dello scontro”. Secondo von der Leyen, “l’elemento più importante dell’accordo raggiunto è l’aliquota dei dazi del 15% sulla maggioranza dei prodotti Ue, tra cui automobili e farmaceutici. Un tetto tariffario omnicomprensivo di cui l’Unione Europea è l’unica a beneficiare”.

Tra illusioni svanite e accuse di ipocrisia: il fronte critico sull’accordo Usa-Ue

Queste affermazioni, che evidenziano il giudizio favorevole della presidente della Commissione sull’intesa con gli Stati Uniti, ricordano più l’esito ‘pari e patta’ di una battaglia navale tra ragazzi che non quello di uno scontro di politica commerciale internazionale tra due grandi potenze come Usa e Ue. Di tutt’altro avviso è invece l’articolo di fondo del Corriere della Sera del 24 agosto, firmato dall’ex direttore Ferruccio De Bortoli, secondo cui “l’accordo commerciale è un capolavoro di ipocrisia”. “Si parla di benefici che in realtà non esistono”, scrive. “A meno che non si consideri un beneficio lo scampato pericolo delle minacce arrivate in più occasioni dalla Casa Bianca”.

Dello stesso tenore la relazione di apertura al Meeting di Rimini di Mario Draghi, già consulente di Ursula von der Leyen, che – con toni diversi rispetto al passato – ha sottolineato: “Quest’anno sarà ricordato come l’anno in cui l’illusione europea – di avere potere geopolitico e forza contrattuale nelle relazioni commerciali – è evaporata”. E ancora: “Abbiamo dovuto rassegnarci ai dazi imposti dal nostro più grande partner commerciale, l’alleato di lunga data: gli Stati Uniti”.

Le valutazioni di due autorevoli figure della vita politica ed economica italiana lasciano poco spazio a interpretazioni positive sull’accordo doganale tra Usa e Ue, compreso il cosiddetto bonus rappresentato dagli accordi integrativi: 700 miliardi di dollari per l’acquisto di gas, petrolio e altre forniture, e 600 miliardi di dollari di spesa in armamenti americani da sostenere in tre anni.

L’Europa tra resa diplomatica e fragilità economica di fronte ai dazi di Trump

Dal punto di vista dei rapporti commerciali, resta incomprensibile la resa incondizionata dell’Europa. Non si capisce perché, alla luce del sole, la presidente Ursula von der Leyen non abbia nemmeno accennato a una possibile reazione, benché l’Ue disponesse degli strumenti per farlo, come il consistente surplus statunitense nel settore dei servizi o lo strumento giuridico anti-coercizione, creato proprio per contrastare la pressione economica di paesi terzi contro l’Unione o i suoi Stati membri.

Il tutto mentre le economie della maggior parte dei paesi europei arrancano sotto il peso dell’inflazione causata dalla guerra in Ucraina, nonostante i tentativi – al momento infruttuosi – del presidente Trump di arrivare alla pace.

Difficile comprendere il senso di inferiorità mostrato dall’UE di fronte alle giravolte perniciose di Trump su ogni aspetto delle relazioni internazionali, in particolare sul tema dei dazi. Giravolte che non solo danneggiano paesi alleati e terzi, ma che minano anche la fiducia nel dollaro, crollato di oltre il 10% dall’inizio dell’anno.

Dollaro in caduta libera: le stime degli analisti smentiscono l’ottimismo europeo

Preoccupanti, in questo senso, sono le previsioni raccolte da Bloomberg, secondo cui entro fine anno il cambio con l’euro raggiungerà quota 1,20. L’andamento negativo del dollaro, secondo l’agenzia, “non dipende tanto dai fondamentali dell’economia americana, bensì dalla perdita di fiducia degli investitori interni ed esteri”.

Anche il team di ricerca di Goldman Sachs prevede che il dollaro continuerà a indebolirsi, stimando un cambio a 1,20 contro l’euro quest’anno e a 1,25 entro il 2026, puntando il dito sia “sulla fragilità strutturale del mercato del lavoro, sia sulla performance complessiva dell’economia statunitense, che non riesce più a sostenere valutazioni ancora troppo elevate della propria valuta”.

Alla luce di tali previsioni, è arduo comprendere come la presidente della Commissione possa sostenere che “l’accordo raggiunto con l’amministrazione americana premierà la scelta della stabilità e prevedibilità rispetto all’escalation e allo scontro”.

Dazi e dollaro debole: l’errore strategico che può costare all’Europa un nuovo ‘decennio perduto’

Per paesi esportatori verso gli Stati Uniti come l’Italia, ma anche per la Germania – che ha già annunciato la recessione a causa della forte flessione delle esportazioni americane – è difficile accettare un aggravio medio dei dazi del 10,2%, rispetto al 4,8% pagato finora, aggravio accompagnato da una svalutazione del dollaro del 10% e in ulteriore crescita.

Non è chiaro perché la presidente von der Leyen non abbia tenuto conto, nel negoziato, degli effetti combinati tra la svalutazione del dollaro e l’aumento dei dazi, nonostante gli allarmi lanciati dalle organizzazioni imprenditoriali nazionali e internazionali, che già prevedevano un onere crescente per le nostre economie.

Molto probabilmente è stata la sudditanza politica a prevalere sulle considerazioni economiche. Ma la storia insegna i rischi di simili scelte: il Giappone, con l’accordo del Plaza del 1985 che portò alla rivalutazione dello yen sul dollaro, visse negli anni Novanta un lungo periodo di deflazione e bassa crescita, il cosiddetto ‘decennio perduto’. Non vorremmo che l’Europa facesse la stessa fine pur di non incrinare un allineamento politico fondato sul pensiero deleterio e ingannevole di Trump.

L’articolo La doppia debolezza dell’Unione Europea e del dollaro che rischiano di farsi male è tratto da Forbes Italia.

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