La critica d’arte è davvero al capolinea oppure si sta solo trasformando? Prima parte del dibattito

Tornare su dibattiti ampi, stratificati e complessi può spesso risultare ripetitivo e, dunque, superfluo, ma ci sono certi temi che non cessano mai di esaurirsi. Ne è un caso la querelle sulla critica d’arte in Italia, di cui spesso e volentieri ci si è occupati e su cui spesso e volentieri si è tornati. Ma determinate riflessioni, essendo specchio non solo dello stato dell’arte ma anche della società stessa che gira attorno a questa, richiedono un continuo aggiornamento e un attivo confronto. Cercherò di non banalizzare né sostenendo che la critica d’arte è morta (espressione oltremodo abusata) né che naturalmente questa non necessiti di essere ripensata, problematizzata e adattata al contemporaneo, insieme a tutte le sue urgenze. Cambiano i mezzi di comunicazione, cambiano le dinamiche tra gli attori del sistema, cambiano le ricerche degli artisti e i loro riferimenti e si introducono nuove figure che portano ad altrettante nuove necessità.

L’obiettivo, infatti, non è prendere una posizione radicale, ma inserirsi nella complessità di una pratica a cui vanno mutuati nuovi strumenti e metodologie per far sì che possa accompagnare nuovi modi e tempi. “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”: probabilmente è in questa chiave che va sciolto il nodo e dunque diventa imprescindibile conoscere la storia della critica d’arte per delinearne nuovi confini. Numerosi e diversificati quesiti, dalle riflessioni sul capitalismo artistico-culturale alla professionalizzazione del critico di oggi, sono stati posti a ricercatori e intellettuali appartenenti a più generazioni per offrire una panoramica aggiornata sul dibattito, che non vuole essere un punto di arrivo ma, al contrario, l’inizio di ulteriori e molteplici prospettive. Gli interventi raccolti, infatti, sono dei campioni, esempi autorevoli e voci “emergenti” (mi si passi il termine) che non hanno la pretesa di esaurire l’argomento né tantomeno di individuarne un’univoca lettura.

Una piattaforma di scambio intellettuale sullo stato della critica d’arte in Italia 

Credo che ci sia un margine di manovra immenso per la critica d’arte contemporanea: sta a noi decidere se relegare questa tradizione di studi malmessa al passato remoto o se chiederci come rigiocarla nel presente; se ristabilire i fatti per nutrire gli annali della letteratura artistica italiana o se far sì che la critica torni a essere un laboratorio di idee operoso e sfaccettato, un’arma impropria e non un’arma spuntata”, scrive Riccardo Venturi in Natura pictrix. Adalgisa Lugli e il meraviglioso, intervento pubblicato lo scorso anno nel volume Armi Improprie (per Johan & Levi editore) che raccoglie gli interventi di riconosciute figure del panorama della critica d’arte italiana, insieme a studiosi, dottorandi, ricercatori e docenti, tenutisi in occasione dell’omonimo convegno Armi improprie. Lo stato della critica d’arte in Italia, ospitato dall’Università IULM di Milano il 27 e 28 aprile 2023. L’evento, curato dallo storico e critico d’arte Vincenzo Trione, preside della facoltà di Arti e Turismo dell’università, si poneva, infatti, l’obiettivo di offrire una piattaforma di scambio intellettuale sullo stato della critica d’arte italiana valutando l’esistenza di un presunto canone. Tra i temi affrontati il contributo della critica d’arte sulla stampa, il complesso sistema di equilibri tra editoria, critica d’arte e politica culturale, la relazione tra pratica artistica e discorso critico e il rapporto tra arte e tecnologia, oltre l’approfondimento di alcuni storici dell’arte come Francesco Arcangeli, Eugenio Battisti, Roberto Longhi, Roberto Salvini e Carlo Ludovico Ragghianti. A cui si sono aggiunti Giulio Carlo Argan, Adalgisa Lugli, Enrico Crispolti, Filiberto Menna, Achille Bonito Oliva, Germano Celant, Carla Lonzi e Lea Vergine, tra gli altri.

I precedenti

Sempre del 2023 è l’articolo Come siamo silenziosi sullo stato dell’arte, pubblicato il 3 settembre sul Domenicale del Sole 24 Ore a firma di Gian Maria Tosatti, che è diventato un’ulteriore occasione di dibattito e scambio, tanto che ha “provocato” tutta una serie di risposte, sia sulle stesse pagine del quotidiano (di Michele Dantini e Christian Caliandro arrivate il 17 settembre) sia in altre testate e sui social. “In Italia ci sono centinaia di artisti ma manca una pubblicistica di peso”, è questo il sottotitolo del contenuto, che si apre sul rifiuto della critica da parte degli artisti di oggi. La dichiarazione è il frutto di una ricerca fatta dalla Quadriennale negli anni della direzione di Tosatti, da cui è stato prodotto un annuario che ha raccolto tutta la produzione critica pubblicata nel 2022 prendendone a riferimento degli estratti. Uno dei dati principali, riporta l’artista, scrittore e giornalista, è che su circa 700 artisti attivi in Italia sotto i 70 anni, collocabili a un livello di carriera rilevante, soltanto di circa 300 si è scritto e la somma degli articoli di critica che nomina artisti o opere d’arte è stato di circa 530. “Ci rendiamo conto che sono misure molto ridotte per un paese come l’Italia che sulla critica può vantare pagine importanti della sua storia”, ha dichiarato Tosatti ai microfoni di RSI il 5 ottobre 2023 (in occasione di un confronto radio tra quest’ultimo, Dantini e Caliandro), spiegando che l’articolo nasce da questa evidenza. Tra i vari argomenti esaminati sicuramente quello che ha destato l’attenzione e la penna di storici dell’arte e critici sono state le interviste, lette come strumento di semplificazione e lettura superficiale del lavoro di un artista.

Non ha dunque tardato l’intervento di Michele Dantini che mette in discussione la scelta di tale metodologia parlando di un silenzio della critica che va interrogato appellandosi allo sciopero argomentativo di Carla Lonzi. Dantini sostiene che il censimento di Tosatti non sia del tutto rilevante, perché ci sono dei silenzi ben più eloquenti della cronaca artistica o delle interviste, che non riconosce, nemmeno lui, un genere critico: “Credo che il termine critica sia vetusto e che dovremmo anche allargare il fuoco, che si scriva o meno di artisti sotto i 70 anni non è così significativo. Basti pensare che il più importante testo critico, e dunque immediatamente produttivo per l’arte contemporanea, è un libro di Longhi su Piero della Francesca. Si può dunque usare anche l’antico in mancanza di un contemporaneo soddisfacente”. Ma cosa c’è allora alla base di una lettura pessimista della critica d’arte? E qui interviene Christian Caliandro: “Tralasciando i problemi strutturali della pratica, che non appartengono solo agli ultimi anni e che non riguardano solo l’Italia, da chiamare in causa è sicuramente lo strapotere del mercato dell’arte, che non sa letteralmente che farsene della figura del critico e che infatti l’ha sostituita con quella del curatore, come sostenuto anche da Dantini. Queste due diverse figure, però, con i rispettivi ruoli e funzioni, sono spesso confuse. Tuttavia, non credo di poter dichiarare in maniera definitiva che la critica in Italia non ci sia perché basta andarsi a guardare anche solo le uscite editoriali degli ultimi due e tre anni, sia di editori più grandi ma anche e soprattutto di realtà indipendenti che stanno portando avanti un grande lavoro di ricerca. Questi difendono un panorama ricco e variegato. Dunque, il punto di partenza deve essere il riconoscimento reciproco, perché non credo possa uscire nulla di buono dalla negazione del lavoro altrui”.

Critici e curatori: le posizioni contrastanti 

Si arriva così alla questione forse più calda del dibattito. Chi è e cosa fa il critico? E chi è e cosa fa il curatore? Tosatti comprende la posizione di Dantini su Carla Lonzi, ma ribadisce che non è possibile giustificare il silenzio critico come lo sciopero di un intero comparto. “Certamente Lonzi aveva le sue ragioni”, spiega, “ma ci sono centinaia se non migliaia di giovani che, una volta usciti dalle facoltà di storia dell’arte, sono orientati verso una carriera critica anche se poi sono portati a una serie di azioni che prevedono solo l’analisi di opere e progetti. La differenza tra critico e curatore è molto semplice e risiede nelle parole con cui definiamo i ruoli stessi: critico viene da crisi e curatore viene da cura. Entrambi hanno una radice medica, la crisi è un momento di distinguo, in cui si capisce se si sopravvive o si muore, mentre la cura è l’impegno a rendere positiva una circostanza che tende al neutro o al negativo. Anche dietro l’attività di curatore c’è una direzione critica, ma tendenzialmente quello che poi va a fare è promozione e questo fa comodo al mercato. L’attività critica è più complessa, c’è l’obiettivo di creare un’argomentazione più scientifica possibile, cercando di conoscere le ragioni di tanti gesti compiuti dall’artista all’interno di un percorso, per poi cercare di definire gli elementi sommersi e quelli salvati”. Caliandro si accoda, sostenendo che il critico è un disturbatore perché la critica non può essere contemporaneamente dentro e fuori il sistema: “Oggi è difficile fare critica per questo, perché la critica è fuori dal sistema”.

Caterina Angelucci

L’articolo "La critica d’arte è davvero al capolinea oppure si sta solo trasformando? Prima parte del dibattito" è apparso per la prima volta su Artribune®.

Autore
Artribune

Potrebbero anche piacerti