Jimi Hendrix moriva 55 anni fa: dagli esordi alle stelle, fino alla fine e alla consacrazione
- Postato il 18 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Era una piovosa mattina londinese del 18 settembre 1970 – 55 anni fa – quando, verso le 11, la pattinatrice tedesca Monica Dannemann, allora compagna di Jimi Hendrix, lo trovò, esanime, sul letto del Samarkand Hotel, al 22 di Lansdowne Crescent.
I due avevano trascorso la notte insieme dopo una cena a base di pasta al ragù e vino rosso. Poi, ognuno nel proprio letto. Da un bel po’ Hendrix soffriva di insonnia ed esagerava con i barbiturici: quella mattina, verso le 7, ne aveva ingurgitato quasi venti volte la dose raccomandata. L’ambulanza portò Jimi al St. Mary Abbots, ma il più grande chitarrista al mondo era già morto. Aveva 27 anni. Il coroner Gavin Thurston che eseguì l’autopsia stabilì che Hendrix era morto per asfissia causata dal suo stesso vomito indotto dall’assunzione di sonniferi Vesperax mixati con alcol.
Un biopic del 2013 diretto da John Ridley, All Is by My Side, racconta gli anni di Jimi a partire dal suo arrivo a Londra (era nato a Seattle, Washington, Usa, il 27 novembre del ’42, nome all’anagrafe Johnny Allen Hendrix) e termina con il suo trionfale ritorno in patria al mitico concerto di Monterey (California), fortemente voluto da Paul McCartney, il 4 giugno ’67, accanto a Who, Otis Redding, Mamas & Papas, Jefferson Airplaine e altri pezzi da novanta.
Quando, in ginocchio sul palco, bruciò – dopo averla cosparsa con liquido per accendini – la sua Fender Stratocaster (cosa che aveva già fatto, per altro, con altre chitarre, durante alcuni concerti in Gran Bretagna), il pubblico fu colto da una sorta di euforia collettiva: un trionfo epico davanti ad oltre 200mila persone.
Prima di giungere a questo momento di gloria Hendrix ne aveva passate tante: sacrifici, povertà, fame, vita di strada, esibizioni ‘alimentari’, arresti (si dice che abbia suonato anche in un complessino che faceva da spalla a Jane Mansfield). Ebbe una nonna paterna di origini Cherokee, Zenora, e una mamma che morì giovanissima quando lui aveva 16 anni. Restò con un padre che poco si interessava alla sua passione: la musica, salvo, dopo anni, comprargli una chitarra acustica.
Nel frattempo Jimi si era costruito una sorta di strumento musicale con una scatola di latta e un’unica corda dalla quale riusciva ad estrarre chissà quali melodie. Mancino come McCartney, Hendrix non è stato solo un magnifico chitarrista, ma anche un grande compositore. A scoprirlo, mentre faceva la fame, saltando da una piccola band all’altra, fu la modella Linda Keith (allora la ragazza di Keith Richards), di passaggio negli Usa, conosciuta durante un concertino fra i tanti che, girovago, Jimi teneva in vari stati americani. Fu Linda a regalargli una chitarra elettrica di qualità e a presentargli Chas Chandler, il bassista degli Animals che stava per abbandonare il gruppo di Eric Burdon per divenire un manager e fu proprio Chas a convincerlo a trasferirsi con lui a Londra, allora più swinging che mai, dove Jimi cominciò ad esibirsi al Saville Theatre.
Chandler una sera portò Jimi al Al Central London Polytechnic di Regent Street (era il primo ottobre ’66) dove si esibivano i Cream (Eric Clapton, Jack Bruce e Ginger Baker). Jimi voleva assolutamente conoscere Clapton e Chandler lo accontentò, presentandoglielo. La pazienza di Clapton stava esaurendosi quando Jimi gli chiese di poter salire sul palco e suonare un po’ con lui, ma disse di sì, forse per toglierselo dai piedi. “Come cavolo ti chiami?”, gli chiese per presentarlo al pubblico. “Jimi Hendrix”, rispose lui (oggi la vicenda appare quasi comica…), ma quando ‘l’americano’ nero cominciò a suonare la sua musica era così divina che Clapton, un po’ stizzito, mollò chitarra e palco e disse a Chas: “Ma non mi avevi detto che questo tipo suonava in maniera così strepitosa…”.
Ha così inizio l’ascesa, in continuo crescendo, di Jimi: l’anno dopo ci fu Monterey e, il 18 agosto ’69, Woodstock, quando era già la rockstar più pagata e si impuntò di suonare per ultimo, al mattino, quando la gente se ne stava già andando, trattenendola con le sue note. La versione di The Star-Spangled Banner, l’inno degli Stati Uniti , con le distorsioni e il sound trasgressivo che accusava la guerra in Vietnam, è passata alla storia della musica. Nessuno aveva mai spinto l’acceleratore su una chitarra in quel modo. Dallo strumento alla voce: Chas Chandler (che poi verrà sostituito da Michael Jeffery) aveva insistito perché Jimi cantasse. E quando i Jimi Hendrix Experience (con il bassista Noel Redding e il batterista Mitch Mitchell, un sodalizio che terminerà nel ’69) uscirono con una cover del brano di Billy Roberts Hey Joe, il 5 gennaio del ’67 il singolo si piazzò nella classifica britannica dei dischi più venduti.
Hendrix si esibirà il 30 agosto’70 all’Isola di White (non certo ai livelli di Monterey e Woodstock). Il 6 settembre ’70 fu peggio: al Festival di Fehmarn, in Germania, giunse in ritardo e per di più si sedette accanto alla batteria suonando pochissimo. Venne fischiato e ricoperto di insulti. Da tempo soffriva, non dormiva, si impasticcava. Poco più di un mese dopo, moriva.
Il 26 agosto 2003 la prestigiosa rivista musicale Rolling Stone nominerà Jimi Hendrix il miglior chitarrista nella storia del rock. Scrive Hendrix in Zero, la mia storia, Einaudi, che raccoglie i suoi tantissimi scritti (era un vero grafomane…): “Una volta morto, sei pronto per la vita. Quando non ci sarò più non smettete di metter su i miei dischi”. Per la cronaca, solo tre LP, troppo pochi. Oggi avrebbe quasi 83 anni.
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