Israele teme la risonanza internazionale del Vaticano: nessuna giustificazione per Gaza

  • Postato il 19 ottobre 2025
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Israele teme la voce del Vaticano. Ciò che inquieta il governo di Tel Aviv è la risonanza internazionale della Santa Sede. E la pressione morale che può esercitare su Palazzo Chigi.

Pochi hanno riflettuto sul fatto che le centinaia di migliaia di giovani italiani, scesi spontaneamente in piazza per manifestare la loro opposizione allo sterminio inflitto ai gazawi dal governo Netanyahu, hanno sentito nel corso degli ultimi due anni una sola voce autorevole di denuncia precisa: quella proveniente dal palazzo apostolico.

Quando ancora il governo Meloni si rifugiava dietro a frasi generiche e anche le altre autorità dello stato usavano termini elevati ma senza un indirizzo leggibile, quando molti mass media tendevano a vedere il massacro della Striscia come una lamentevole “conseguenza” delle barbarie commesse da Hamas il 7 ottobre, papa Francesco era l’unica autorità morale in Italia a proclamare sgradevoli verità.

Già poco tempo dopo il 7 ottobre, ricevendo (in separati incontri) alcuni parenti di vittime israeliane e palestinesi, il pontefice argentino affermava che c’era un terrorismo da entrambe le parti. Alla vigilia dello scorso Natale Bergoglio usava parole inequivocabili: “Con dolore penso a Gaza, a tanta crudeltà; ai bambini mitragliati, ai bombardamenti di scuole e ospedali”. Contemporaneamente Francesco poneva con chiarezza il problema più grave: “A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio”. Bisognerebbe indagare, aggiungeva.

Oggi, a cominciare dallo scrittore David Grossman, è all’interno stesso di Israele che si sono levate voci contro il carattere genocidario dello sterminio dei gazawi. Ma se, come Liliana Segre, si preferisce parlare di crimini di guerra e contro l’umanità commessi dall’esercito israeliano, il nocciolo è lo stesso. Perciò il governo di Tel Aviv aveva accolto con sollievo la notizia della fine del pontificato di Francesco e Netanyahu – per punirlo anche in morte – aveva rifiutato di partecipare alle esequie, cancellando persino uno scarno necrologio diffuso dal suo ministero degli Esteri.

L’elezione di papa Prevost era stata “premiata” con l’arrivo del presidente israeliano Herzog alla messa di inaugurazione del pontificato. L’avvento di Leone XIV, tuttavia, non ha cambiato la linea della Santa Sede. Anzi, pur con un linguaggio mediaticamente meno impulsivo di quello usato da Bergoglio, il pontefice americano si è mosso in crescendo. A luglio, quando infuriavano i bombardamenti su Gaza e i fanatici nazionalisti d’Israele vagheggiavano di spostare in massa altrove i due milioni di gazawi, Leone è stato chiarissimo nel ricordare le leggi internazionali sul “divieto di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e spostamento forzato della popolazione”.

L’improvviso arrivo a Roma del presidente Herzog per un incontro con Leone al fine di “rassicurare” la Santa Sede, da questo punto di vista, non ha raggiunto i risultati sperati. Anzi, sotto la pressione dell’opinione pubblica e delle continue prese di posizione vaticane nonché delle scelte di Francia, Gran Bretagna, Canada e Australia che hanno riconosciuto la Palestina, il governo Meloni è stato finalmente costretto a usare all’Onu parole molto critiche nei confronti di Israele.

L’azione della Santa Sede però non si è fermata. L’intervista del cardinale segretario di Stato Parolin ha avuto su Israele l’effetto di una bomba. Il porporato, restando fermissima la condanna della barbarie del 7 ottobre e la denuncia di ogni forma di antisemitismo, ha riservato alla strategia israeliana termini molto duri. Ne ha denunciato le “conseguenze disastrose e inumane”, ha parlato di “carneficina!”. Tantissimi bambini uccisi…”persone uccise mentre cercavano di raggiungere un tozzo di pane”. Concludendo: “E’ inaccettabile e ingiustificabile ridurre le persone umane a mere vittime collaterali”.

Parolin non ha nemmeno mancato di ricordare l’“espansionismo spesso violento” dei coloni israeliani in Cisgiordania. La reazione nervosa dell’ambasciata israeliana presso il Vaticano si è scontrata con le gelide parole di Leone XIV, soppesate una ad una: “Il cardinale Parolin ha espresso molto bene quella che è l’opinione della Santa Sede”.

Ora che si è aperta la fase tormentata e complicata del progetto Trump, il governo di Tel Aviv – impegnato nell’operazione di “sbiancamento” dello sterminio dei gazawi per bombe o per fame – è più che mai inquieto per la posizione vaticana. Il tentativo di dare tutta la colpa ad Hamas, a cui sta partecipando anche il leader dell’opposizione Yair Lapid che alla Knesset ha provato a dire che in Europa e in America i manifestanti pro-Palestina sono stati manipolati, si è infranto giovedì contro la durissima denuncia di Leone XIV contro l’ “uso del cibo come arma di guerra”.

All’assemblea della Fao papa Prevost ha ribadito che “utilizzare la fame inflitta ai civili come metodo di guerra” è un crimine. Lo ha detto tre volte. Citando anche l’atto di “impedire intenzionalmente l’accesso agli alimenti per una comunità o per popoli interi”. Per Netanyahu non c’erano e non ci saranno giustificazioni.

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Il Fatto Quotidiano

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